Titolo originale: Hit Man
Regia: Richard Linklater
Anno: 2023
Produzione: Stati Uniti d’America
una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva
Hit Man – Killer per caso è il nuovo film di Richard Linklater – noto soprattutto per il pluripremiato Boyhood (2014) – presentato fuori concorso in anteprima alla 80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. La sceneggiatura, che trae liberamente spunto da un articolo di cronaca che aveva colpito il regista anni addietro, è firmata dallo stesso Linklater e dal protagonista maschile, il giovane talento Glen Powell che i più conoscono per il ruolo di Jake “Hangman” Seresin in Top Gun: Maverick, dove si può dire che abbia raccolto il testimone di Val Kilmer/”Iceman” del film di Tony Scott del 1986.
Hit Man è una commedia brillante che si colora ora di toni sentimentali ora di umorismo nero, mentre l’intreccio si sviluppa tra un ribaltamento e l’altro tenendo in costante tensione lo spettatore, nel timore che un possibile colpo di scena porti a una svolta amara della vicenda. In realtà, il film mantiene le sue promesse di leggerezza ma attraverso un finale che, con la sua connotazione nera, evita la banalità.
Tra i sicuri punti forti del lungometraggio vi sono il ritmo e la brillantezza dei dialoghi, sorretti anche da un’ottima alchimia tra gli interpreti principali. In particolare, Glen Powell è talentuoso nel rendere al meglio i diversi “ruoli” che copre ma funziona molto bene anche in coppia con Adria Arjona, il cui personaggio di Madison “Maddy” Masters oscilla, durante l’intero film, tra il cliché della donna ingenua e indifesa e la femme fatale, acuendo la tensione e il senso di attesa di cui si accennava in precedenza.
A essere particolarmente interessante è il sottotesto psicologico sulla personalità del protagonista e, soprattutto, il tema del doppio. Ben sappiamo come i registri comico e drammatico rappresentino angolazioni diverse da cui possiamo guardare e interpretare uno stesso tema, anche se – in genere – il doppio è presente nella storia del cinema più nella sua declinazione perturbante e drammatica che in quella comica, poiché l’incontro di una persona con il lato vitale ma oscuro, e in quanto tale represso, della propria personalità è spesso foriero di eventi catastrofici.
Gary Johnson è un solitario professore di filosofia che vive con due gatti – sui cui nomi torneremo fra poco – ed è ritenuto poco o nulla interessante dagli allievi, che ironizzano sull’evidente contrasto tra la vita grigia che conduce e ciò che insegna; l’ex-moglie – inoltre – è in attesa di un figlio dal nuovo compagno. Per alcune sue caratteristiche, Gary può facilmente richiamare alla mente il personaggio di Adam Bell interpretato da Jake Gyllenhaal in Enemy (2013) di Denis Villeneuve. Nel film di Linklater però, a differenza di Enemy e di molti altri film di questo filone, il protagonista riesce a integrare in senso positivo la parte più nascosta e vitale del proprio essere, sviluppando una nuova personalità che armonizza tutti gli aspetti, un percorso a cui dovrebbe auspicabilmente portare la psicoterapia.
In chiusura, la nota sul nome dei due gatti del professor Johnson: Id ed Ego. Sarà forse per l’assenza del SuperEgo che la vicenda trova la sua composizione finale?