ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

AFTERSUN | Be kind, rewind

Regia: Charlotte Wells

Anno: 2022

Produzione: Regno Unito, Stati Uniti d’America

una recensione a cura di Elena Pacca

Tender is the day the demons go away

Oh lord, I need to find someone who can heal my mind

Come on come on come on

Get through it

[Blur]

I thought that I heard to laughing

I thought that I heard to sing

I think I thought I saw you try

[Rem]

Fa male agli occhi ricordare. Fa male agli occhi vedere. Fa male agli occhi guardare questo film. Fa male di quel male che subito non ti accorgi, dici no, va tutto bene e poi no, non va affatto bene. Invasa di una tristezza che tracima dallo schermo e inghiotte in un buco nerissimo di storie che non sono tue ma che sai esistere e non così lontano.

Ricordare ha a che fare col cuore. Il centro pulsante che si credeva sede della memoria. Ricordare è un atto irrazionale. Selettivo. A volte ingannevole. Ricordare è un atto che può causare dolore. Un dolore inestinguibile, reiterato dal potere della memoria che incide sulla corteccia del nostro stare al mondo.

Aftersun img 1 elena

Aftersun è una storia, ma è soprattutto la trasposizione di una memoria intima e forse per questo rimossa e rigettata nel passato che ormai perde definizione o forse la riacquista quando il tentativo di ricordare è un’urgenza ormai improcrastinabile.

Una vacanza, la spensieratezza di Sophie, una bambina di undici anni con Calum, il suo adorato papà. La tenerezza è tenuta a bada. Undici anni sono pochi per essere grandi e troppi per essere bambini. C’è una naturale predisposizione a essere quello che si è, fragili e fortissimi al tempo stesso.

Il sole non abbronza. E’ sempre un sole pallido, anch’esso adombrato e sbiadito nel ricordo, nella lontananza da quell’estate là e dalla distanza tra ciò che si credeva di vivere – la felicità – e ciò che era veramente – la disperazione – in un agghiacciante scontro dialettico in cui i sentimenti combattono strenuamente e alla fine, in un caso soccombono, cedono di schianto e a nulla basta l’amore filiale, il pensiero di veder crescere e consigliare, quel desiderio pervicace “ mi dovrai dire tutto” di essere e fare il padre. Come Sophie ci siamo spalmati da soli, con le nostre mani, la crema per evitare i danni. Ma non è servito. Non basterà tutta la crema a schermo totale a proteggerci. E il doposole non basta a lenire le scottature che ci siamo procurati a voler guardare fino in fondo per sapere cosa era accaduto.

Aftersun img 2 elena

Aftersun è un film tridimensionale nel senso che è focalizzato da tre ottiche: quella del ricordo che maggiormente viene rappresentato sullo schermo, quello di ciò che è stato filmato con la piccola telecamera turistica e dunque fermato per sempre nella sua spazialità temporale, con la obbligata selezione di momenti che fissano ma non esauriscono tutta la vacanza, e quella della visione a posteriori, esattamente vent’anni dopo, di quei filmini che accendono così la memoria di quell’ultima estate, in un cortocircuito visivo che trova la sua perfezione nell’essere spietatamente naturale, per nulla forzoso. Noi spettatori siamo là, con loro, ospiti dello stesso resort, a consumare la nostra vacanza, tra nuotate, drink, assopimenti pomeridiani, camere anonime, lentezza, noia, divertimento e karaoke. Charlotte Wells, al suo esordio, ha una straordinaria gentilezza nel maneggiare l’umanità delle persone. Ciò che non vediamo non accade ma potrebbe accadere e forse accadrà. E come vorremmo forse riavvolgere quel nastro per poter tornare indietro, cambiare il corso delle cose che ha determinato il destino della nostra vita e che sarebbe bastato un attimo, forse, per intuire più che capire il senso di quel saluto che è un addio. Nonostante noi, nonostante il nostro grande amore che nulla può contro il buio della mente.

Senza esserne debitrice, ma nel solco di una certa filmografia che fa del confronto tra i ragazzini e gli adulti il punto di forza, Sophie, appartiene a quel mondo straordinario in cui possiamo anche incontrare Olive di Little Miss Sunshine e Addie di Paper Moon, passando attraverso il karaoke sghembo di Lost in Translation.

Scandito da una soundtrack che indugia sulle corde del sentimento senza essere smaccatamente sentimentale Aftersun è un excursus nell’affiorare dolente della percezione di un ricordo troppo a lungo rimosso. I fotogrammi sono atomi polarizzati di un momento epocale che è stato difficile da comprendere e da superare. Gli spazi di Oliver Coates, il compositore, sospesi e indeterminati sono interrotti da brani iconici che sottolineano alcuni passaggi in un unicum sonoro che non ci abbandona e ci accompagna in questo viaggio a ritroso dove il tempo fermo del passato torna a muoversi, a prendere – paradossalmente – vita.

Can’t we give ourselves one more chance

Caring about ourselves

This is our last dance

This is ourselves

Under pressure

Under pressure

Pressure

[Queen + David Bowie]

Aftersun img 3 elena

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