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Regia: Milad Tangshir
Anno: 2024
Produzione: Italia

una recensione a cura di Ezio Genitoni

Un’opera prima d’effetto, carica di tensione, povera di retorica, densa di contenuti.

Torino. Un immigrato irregolare africano, con l’aiuto di un connazionale, riesce a trovare un’occupazione precaria come “rider”, ma è costretto a subire il furto della bicicletta con cui lavora.

Durante la presentazione, al cinema Romano, l’interprete protagonista Ibrahima Sambou appare dolce e riservato in accordo con Issa, il suo personaggio. Al contrario, emerge la voglia di condividere le proprie idee da parte di Milad Tangshir, regista iraniano e torinese d’adozione.

Un film che parla degli “ultimi” quello di Tangshir, che al suo primo lungometraggio di finzione utilizza in background tutta la sua esperienza di documentarista per rendere l’opera estremamente d’impatto, reale e connessa all’ambiente.

L’ambiente si identifica esclusivamente nella città che, complici le riprese in esterno in ben 45 location diverse, tra le quali i quartieri più popolari e “difficili”, sembra fondersi con il protagonista. Città e personaggio: il loro rapporto è di fatto uno dei temi portanti dell’opera dove la faccia dell’una si confonde con la faccia dell’altro.

Una Torino reale e dura ma che sa essere anche ospitale ed umana, raccontata in modo vivido e penetrante. “A me piace stare qui” dice Issa all’amica Awa in uno dei pochi momenti di tensione calante nell’opera.

In questo contesto, giunge inatteso il tema del tradimento che, come suggerito dal regista, messo in atto per sopravvivere, è senz’altro strumento di formazione per il giovane protagonista.

Luci in sala e prosegue il dibattito.

Il parallelo con il capolavoro di Vittorio De Sica Ladri di biciclette  è spontaneo, ma Tangshir lo ridimensiona in parte, rivendicando consapevolmente una propria strada. Ridimensiona con più forza, poi, anche la presunta assonanza del suo cinema con quello della tradizione iraniana.

Equilibrato ed avvincente, senza scadere nell’utilizzo di facili stereotipi, il film mette lo spettatore in grado di identificarsi con immediatezza e pathos, grazie al lavoro non semplice di dirigere attori non professionisti. Ma la leggibilità e la purezza non ne limitano i piani di lettura.

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