ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

BLINK TWICE | Non accettare caramelle dagli sconosciuti

Regia: Zoë Kravitz
Anno: 2024
Produzione: Stati Uniti d’America

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

È piena estate e in attesa di quanto avverrà alla 81a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e dei film più attesi che saranno in sala tra settembre e ottobre – dai sequel Beetlejuice Beetlejuice di Tim Burton e Joker: Folie à Deux di Todd Phillips all’ultimo film di Francis Ford Coppola, prima, e Paolo Sorrentino, poi – proviamo a intrattenerci con Blink Twice, prima regia della statunitense Zoë Kravitz.

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La vicenda si svolge in buona parte sull’isola privata di Slater King (Channing Tatum) – proprietario di un’industria ad alta tecnologia – tornato redento sulla scena pubblica dopo un periodo turbolento in cui è stato dannoso per sé e per gli altri con modalità che restano ignote allo spettatore. Questi invita nella sua lussuosa tenuta alcuni amici, un giovane e brillante dipendente e un gruppo di donne, tra cui Frida (Naomi Ackie) conosciuta durante un evento aziendale in cui era presente come membro dello staff. L’incontro fortuito, infatti, ha fatto immediatamente scoccare la scintilla dell’interesse e insieme a Frida è invitata sull’isola anche la sua amica Jess (Alia Shawkat). Dopo un volo sull’aereo di King, l’arrivo nel luogo che ospiterà la breve vacanza degli invitati è da favola: casa splendida, natura lussureggiante, cibo di alta qualità, alcool e fumo ricreativo, piscina di lusso e quant’altro si possa immaginare e desiderare. Tutto perfetto, insomma, e il flirt di Frida con il munifico magnate è quasi inevitabile, anche se – in realtà – fra i due non sembra accadere quasi nulla poiché tutto si limita a un gioco d’attrazione fra le parti.

Qualcosa, però, inizia a non tornare dopo alcuni giorni (quanti?) passati sull’isola. Le ragazze ospiti di King non ricordano granché di quanto vissuto nei giorni precedenti e Jess, l’amica di Frida, scompare misteriosamente. Solo Frida, a un certo punto, sembra ricordarsi della sua presenza nella tenuta. In più, una strampalata vecchietta, apparentemente parte della servitù, si aggira stralunata per il parco cacciando serpenti velenosi ed emettendo incomprensibili frasi non-sense. Lungo una china facilmente intuibile, la vicenda assume un tono via via più allucinato e violento, soprattutto quando Frida torna alla realtà dopo aver assaggiato quello che risulterà essere un distillato di veleno dei serpenti cacciati dall’anziana donna. E il riaffiorare dei ricordi porterà alla luce qualcosa di tanto incredibile quanto orrendo.

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Zoë Kravitz assembla un thriller con toni da commedia nera capace di creare un crescente senso di inquietudine grazie all’efficace mix di venature splatter e ironia. La tematica celata sullo sfondo della vicenda narrata è quella del posto riservato alle donne in una società patriarcale governata dagli uomini. Per quanto collocati nel contesto di un film di “genere” – eccessivo e quasi distopico – gli eventi sono una metafora di un mondo in cui i maschi possono fare quel che vogliono e ottenere ciò che desiderano ricorrendo a ogni mezzo e ciò potendo contare sulla “dimenticanza” delle nefandezze compiute, che nella società reale si è risolta per lungo tempo (e spesso si risolve tuttora) nell’acquiescenza a un modello di vita politica, economica, sociale e culturale dominata dal genere maschile. Il finale è liberatorio e, in un certo senso – irridente, seppur grandguignolesco non poco.

La regista gira il suo primo film, di cui è co-produttrice, con un certo piglio intraprendente affrontando un tema di sentita attualità, cioè il patriarcato e il dominio maschile, con i danni da questo prodotti nel corso di millenni di evoluzione/involuzione storica e sociale. Per farlo sceglie la via del thriller dalle tinte distopiche ispirandosi alle modalità e all’estetica di film recenti (o relativamente recenti) quali Don’t Worry Darling (2022) di Olivia Wilde, Scappa – Get Out (2017) di Jordan Peele – riconosciuto a suo tempo come un’autentica rilevazione e premiato con l’Oscar per la sceneggiatura originale – e Una donna promettente (2020) di Emerald Fennell.

Dal primo prende ispirazione per trasformare ciò che inizialmente sembra il mondo dei sogni in un luogo tutt’altro che idillico, in cui le donne sono vittime di stereotipi e sopraffazione, mentre dal secondo mutua sia il disvelamento di una verità al limite dell’inconcepibile, sia l’uso di una metafora capace di una denuncia sociale particolarmente sentita, oggi, nel caso del tema trattato dal film di Zoë Kravitz, meno attuale – ma più antica, stratificata e tuttora irrisolta – per quel che riguarda il nucleo centrale del film (e dell’opera nel suo complesso) di Peele. Al terzo, infine, si ispira sia per una certa vena ironica-dark sottesa agli eventi narrati, sia per un modello femminile capace di ribellarsi, attivo e vendicativo.

Buona presenza scenica di Naomi Ackie e Channing Tatum, bravo nel passare dal registro del simpatico e affascinante piacione a quello dell’uomo aggressivo, prevaricatore e privo di scrupoli.

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