Regia: Manetti Bros.
Anno: 2021
Produzione: Italia
una recensione a cura di Elena Pacca
Chi ha letto Diabolik, il personaggio inventato dalle sorelle Giussani nel 1962, riconoscerà la filologica trasposizione e l’imprescindibile toponomastica, da Clerville a Ghenf. Un elogio della lentezza, in questo film che è una sorta di montaggio frame by frame, un fotoromanzo in movimento, uno slow motion percettivo e immaginario in cui i fraseggi tra i personaggi sembrano frizzati in uno spaziotempo contingentato come quello del dialogo fumettato. Una sontuosa Eva Kant/Miriam Leone, un iconico ispettore Ginko/Valerio Mastandrea, con una reminiscenza alla Lino Ventura e un, forse, po’ troppo bidimensionale Diabolik/Luca Marinelli in precario equilibrio fra algido sguardo e catatonica fissità espressiva. Film bello di quel bello leggero e senza pensieri che ti induce a indulgere sulle efferatezze del ladro in calzamaglia, perché come canta un ispirato Manuel Agnelli nell’inseguimento iniziale, la verità, se serve, si può travestire.