JONA CHE VISSE NELLA BALENA

Jona che visse nella balena / Italia, Francia, 1993 / Durata [min] 95

Genere: Drammatico

Regia: Roberto Faenza

Cast: Luke Petterson – Jona a quattro anni / Jenner Del Vecchio – Jona a sette anni / Jean-Hugues Anglade – Max, il padre / Juliet Aubry – Hanna, la madre / Francesca De Sapio – la signora Daniel / Djoko Rosic – il signor Daniel

Fascia età personaggiinfanzia


Sinossi

1942. Jona ha quattro anni e vive ad Amsterdam con i genitori ebrei. Un giorno il piccolo viene portato via dai nazisti insieme alla madre, che tuttavia riesce a farsi liberare esibendo un visto per la Palestina. La vita riprende tranquilla, interrotta solamente dai comportamenti discriminatori di alcuni abitanti del quartiere. Ma un giorno i nazisti li prendono e trasferiscono nel campo di smistamento di Westerbrock, dove accadono cose strane agli occhi del piccolo. Si parte di nuovo, ma invece che in Palestina, come tutti pensano, si va a Bergen-Belsen, un campo di transito in Germania. Qui i genitori possono vedersi sempre più raramente e il padre muore per gli stenti. Arriva il giorno di un nuovo trasferimento, mentre la madre di Jona è gravemente ammalata. Il convoglio viene bombardato e i sopravvissuti liberati dall’Armata Rossa. La mamma muore nel bel villaggio di campagna dove sono stati portati e Jona viene affidato ai vecchi amici dei genitori ad Amsterdam.


Critica

Tratto dal romanzo autobiografico di Jona Oberski, il film tratta il tema dell’antisemitismo e della shoah da un punto di vista molto particolare. Sin dall’inizio, la narrazione si svolge infatti sul filo del ricordo, attraverso la voce narrante del piccolo protagonista. Jona ha appena quattro anni quando le sirene di allarme si mettono a suonare minacciosamente e i tedeschi irrompono nella sua casa urlando in una lingua sconosciuta.

La sua visione del mondo è quella sensibile di un bambino protetto dalla famiglia, la prima parte del film è immersa in un tono fiabesco e il piccolo osserva gli eventi senza comprenderli a fondo; come quando un ragazzo gli rompe i giocattoli, o quando gli viene cucita una stella sulla giacca, o quando la mamma litiga con il verduriere. Attraverso questa originale percezione, gli atteggiamenti discriminatori assumono tratti ancora più assurdi e insensati.

La visione che Jona ha della realtà tende a rimuovere e rielaborare gli eventi attraverso l’immaginazione anche quando lui è cresciuto. Quando ha sette anni, deve immaginare cosa stiano facendo i suoi genitori, chiusi nell’infermeria da molto tempo, e deve confrontarsi con la morte del padre, che avviene di fianco a lui. Rispetto a ciò, nei giorni successivi deve affrontare una vera e propria iniziazione, costretto dagli amici a entrare nel luogo dove sono ammassati i cadaveri dei deportati. Terrorizzato, Jona rompe un vetro e fugge, ma il suo coraggio viene apprezzato. Assecondando la sua curiosità di bambino, in ogni angolo del campo il protagonista fa nuove scoperte, vive il suo percorso di formazione. Il lager, di solito rappresentato come un luogo mostruoso, assume qui quasi una forma di normalità.

Jona cresce costretto a cercare da solo le risposte alle cose strane che si pongono sul proprio cammino, come quando trova sbarrata la strada che porta all’ospedale dove abita sua madre. O come quando, affidato a un’anziana coppia dopo la fine della guerra, deve ricorrere all’immaginazione per ritrovare la voglia di vivere nella nuova casa. Nell’incontro fantastico con il padre che scrive a macchina, materializzazione di un lontano ricordo, Jona trova lo stimolo per affrontare la sua nuova condizione.