La ragazza di via Millelire / Italia, 1980 / Durata [min] 119
Genere: Drammatico
Regia: Gianni Serra
Cast: Oria Conforti – Betty / Maria Monti – Verdiana / Mario Orlando, Lisa Policaro, Lucia Sturiale, Fernanda Ponchione, Francesco Pugliese, Silvana Lombardo, Umberto Campanile, Andrea Alciata
Fascia età personaggi: adolescenza
Sinossi
Primi anni Ottanta. Betty Pellegrino è una tredicenne allontanata da una famiglia in frantumi. Nella degradata periferia di Torino frequenta adolescenti che vivono alla giornata tra furti, violenza, droga e prostituzione. La ragazzina va e viene tra un istituto di Ivrea, cui è stata affidata, e il centro d’incontro torinese di via Domenico Millelire, animato con grande volontà ma con scarsi mezzi dall’assistente sociale Verdiana e da alcuni altri educatori, alle prese con casi più o meno disperati. Betty si innamora di un giovane più grande di lei, che tuttavia intende soltanto sfruttarla sessualmente. Di lei abusano anche altri ragazzi del quartiere. La sua unica speranza rimane Verdiana, l’operatrice del centro d’incontro.
Critica
Lo sfondo degli eventi è quello della periferia di una città del nord Italia, il quartiere-dormitorio di Mirafiori sud, nella Torino dell’immigrazione operaia, e di una via che in particolare diventa simbolo della degradazione metropolitana. Una periferia di abitazioni simili a caserme, con le finestre minuscole, e di strade polverose mai asfaltate, di edifici di cemento non finiti e bar anonimi con le serrande sempre abbassate. In questo contesto si è svolta la ricerca sul campo di testimonianze di vita da parte di giovani disoccupati ed emarginati alla base del film. Il personaggio di Betty è il filtro attraverso cui viene mostrata la squallida realtà della periferia torinese. Una situazione che riguarda i figli degli immigrati come quelli dei torinesi, come sottolinea ironicamente la giovane protagonista, una dei dieci figli di una venditrice ambulante e di un pregiudicato alcolista torinese.
Veridiana, l’assistente sociale, attribuisce le colpe della situazione a un sistema economico basato sul consumismo, a uno sviluppo senza progresso di alcuni gruppi sociali, destinati ad essere sempre subalterni. Betty è intelligente, ha la battuta pronta, e soprattutto ha una forte consapevolezza del suo ruolo sociale, basato sulla visibilità del proprio corpo. La ragazza afferma che la società sono quelli che come lei lavorano per gli altri e, mentre ammicca masticando una gomma, lascia intendere il suo inesorabile destino di bambola. Una sorte cui Betty sembra rassegnata, soprattutto dopo la violenza sessuale subita, a opera di persone che vivono nel suo stesso clima di desolazione.
La sola compagnia della protagonista è una radiolina portatile: le sue crisi di solitudine sono effetto di uno sgretolamento sociale, che porta alla nascita di centri di incontro come quello di via Millelire, il primo a Torino. Alla fine, l’unico riferimento di Betty è l’assistente sociale, Verdiana, l’unica che riesce a rispondere ai suoi bisogni, che diventa una sorta di figura materna, puntualmente in grado di trovarle un rifugio, una pausa di riposo e riflessione.
Nel film spicca un particolare linguaggio, prodotto dallo storpiamento di alcuni termini piemontesi, mescolati con altri di origine meridionale: la ripetizione ossessiva di interiezioni come “diofà”, “madò”, “cacchio”, “minchia”, “picio”, la povertà sintattica e di concetti, il prevalere del gesto sulla parola, intendono riflettere il drammatico abbassamento delle capacità di rielaborazione logica e degli slanci vitali nei personaggi. Questo crollo culturale delle radici non è però accompagnato da alcun modello alternativo.