Giappone 1989 / Durata (min) 106
Genere: Commedia
Regia: Yoshimitsu Morita
Cast: Ayako Kawahara (Mikage Sakurai), Kenji Matsuda (Yūichi Tanabe), Isao Hashizume (Eriko Tanabe), Naoki Goto (Shigeru Kihara), Saki Matura (Mami Okuno), Akinori Nakajima (Chika-chan), Akiko Urau (Tamie Matsubara)
Fascia età personaggi: giovani adulti
Sinossi
Mikage Sakurai, una giovane orfana appena ventenne, rimane sola alla morte della nonna. Non potendo più permettersi l’appartamento in cui viveva, accetta di andare ad abitare presso quello del suo coetaneo Yūichi, che vive con la madre Eriko. Eriko è in realtà il padre di Yūichi che, dopo la scomparsa della madre del ragazzo, ha deciso di diventare donna e guadagnarsi da vivere dirigendo un night club per gay e travestiti. Mikage, appassionata di cucina, ricambia l’ospitalità preparando deliziosi manicaretti che allietano le serate dell’insolita famiglia. L’equilibrio venutosi a creare fra i tre è prima minacciato dalle scenate di gelosia di una presunta fidanzata di Yūichi e poi da una crisi depressiva di Eriko che finisce in una casa di cura. Al suo ritorno tutto però sembra essersi risolto: Eriko ha trovato un potenziale marito e i due giovani hanno finalmente deciso di vivere insieme non più come fratelli ma da fidanzati.
Critica
Tratto dal best-seller di Banana Yoshimoto, il film di Yoshimitsu Morita vira in chiave grottesca i toni intimisti e minimalisti del romanzo adattato. Le variazioni più significative riguardano la caratterizzazione di Eriko. Rimangono presenti i temi essenziali dell’opera di partenza. Innanzitutto quello del rapporto con la morte.
Poi ci sono i temi del silenzio, della difficoltà di comunicazione, della solitudine che si stemperano progressivamente nel processo di formazione di Mikage e Yūichi, culminante nella reciproca dichiarazione del loro amore. Kitchen è, infatti, prima di tutto una storia d’amore, una commedia sentimentale gentile e delicata che bene rappresenta certe inquietudini e incertezze giovanili. Importante poi è il ruolo della famiglia che ben poco ha a che vedere con quella tradizionale. Una famiglia che non nasce da legami di sangue ma da scelte soggettive, in cui il ruolo dei genitori e la distinzione fra la figura paterna e quella materna vengono radicalmente messi in discussione. Il film asserisce come le famiglie possano avere tante forme differenti e come nessuna sia, in astratto, meglio di altre. Sono la natura dell’affettività e le combinazioni intersoggettive che vengono a crearsi a determinare quanto una famiglia possa contare ed essere d’aiuto oppure no.
Grande protagonista del film come del romanzo è poi la cucina che oltre a essere nucleo centrale di diverse scene della pellicola – in cui si preparano e consumano pasti – ha una chiara valenza simbolica: rappresenta, ancora una volta, la famiglia, il nutrimento alla sopravivenza degli affetti, un modo di comunicare e sentirsi vicini gli uni agli altri, un piacere fisico e intellettuale.