ADDIO MIA CONCUBINA

 



 

Ba wang bie ji, Cina 1993/ Durata (min) 170′

Genere: Melodramma

Regia: Chen Kaige 

Cast:  Leslie Cheung (Cheng Dieyi alias Douzi), Zhang Fengyi (Duan Xiaolou alias Shitou), Gong Li (Juxian), Lu Qi (Guan Jifa), Ying Da (Na Kun), Dan Li (Laizi), Ma Mingwei (Douzi Bambino), Jiang Wenli (Madre di Douzi), Zhi Yitong (Aoki Saburo), Fei Yang (Shitou Bambino), Tong Di (Vecchio Zhang), Yin Zhi (Douzi Ragazzo), Ge You (Master Yuan), Zhao Hailong (Shitou Ragazzo), Han Lei (Xiao Si Adulto)

Fascia età personaggi:   preadolescenza


Sinossi

Cina, 1925. Una giovane prostituta affida il figlio, di nome Dieyi alla scuola teatrale della prestigiosa Opera di Pechino. Dopo un inizio difficile, Dieyi, subito ribattezzato con il nome d’arte Douzi riesce ad integrarsi all’interno della scuola e a fare amicizia con un suo compagno, Shitou (il vero nome è Duan Xiaolou). La formazione è durissima e prevede pene umilianti, al limite del sadismo. I grandi sacrifici però non sono inutili, visto che Douzi e Shitou, crescendo e specializzandosi in ruoli maschili l’uno e femminili l’altro, diventano presto una celebre coppia teatrale. Gli avvenimenti storici sono tuttavia destinati a sconvolgere le loro esistenze. L’avvento del Maoismo nel 1949 costringe l’Opera di Pechino – e i suoi lavoratori – a sopportare un approccio revisionista che porta a snaturarne il ruolo e i significati tradizionali del teatro; la campagna dei “Cento fiori” nel 1956 spinge a fare piazza pulita dei vecchi attori; la Rivoluzione culturale del 1966 vede interpreti e registi bruciare i libri in piazza e denunciare – perché costretti – gli amici e i parenti sospettati di essere controrivoluzionari. Oltre ai grandi fatti storici, Douzi e Shitou sono coinvolti in molti episodi di vita privata: l’innamoramento per la bella Juxian che diventerà moglie di Shitou, l’omosessualità di Douzi (il quale è segretamente innamorato dell’amico), le alterne fortune teatrali della compagnia, ecc. Quando dopo molti anni i due amici si ritrovano, invecchiati, in una palestra per recitare la loro più famosa opera “Addio mia concubina”, sarà per rendere definitivo il congedo dal teatro e dalla vita.


Critica

Apprendistato durissimo quello che attende i bambini iscritti all’“Accademia della Fortuna e della Felicità” dove si studia per diventare attori e teatranti dell’Opera di Pechino, la più celebre e tradizionale forma di teatro cinese. Una scuola di vita che assomiglia molto ad un’istituzione militare e che mira ad educare, innanzitutto, all’ordine, alla disciplina dei comportamenti, alla sofferenza, al sacrificio, alla cura del corpo. Solo in seconda battuta c’è la formazione di stampo teatrale e, con essa, la formazione al gusto per la recitazione, all’attenzione per la perfezione dei movimenti, all’estetica della postura, all’armonia dello stare sul palco. Douzi e Shitou, due di questi piccoli allievi, privati delle loro identità e della loro storia, costruiscono le loro “fortune” e le loro “felicità” proprio nel corso di questo duro e lungo periodo di addestramento. Alla fine della scuola Douzi e Shitou non hanno solo imparato ad “entrare nella parte” di un re e di una concubina, protagonisti della piece che li renderà celebri nel corso degli anni, ma hanno appreso come si “respira il teatro”, come si entra in simbiosi con una vera e propria filosofia, come si persegue un ideale di vita, come si osserva, con occhi diversi, la realtà e la finzione delle cose. 

Il loro punto di vista, nel corso del film, assume inevitabilmente i tratti sintomatici di un osservatorio che guarda (e subisce) i tragici avvenimenti di cui si sono resi responsabili i totalitarismi che nel Novecento hanno governato la Cina: prima i Signori della guerra, poi il Kuomintang, per una breve parentesi il Giappone dei militari ed infine il comunismo di stampo maoista. L’Opera di Pechino stravolta e piegata alle esigenze della propaganda, la delazione degli amici e dei parenti, l’individuazione del nemico in chiunque avanzi una pur minima espressione critica sono espressioni di un’utopica follia che giunge persino a teorizzare la cancellazione di qualsiasi forma d’arte, la negazione delle qualità creative dell’uomo. In questo quadro paradossale e amaramente tragico, dove i compromessi richiesti per sopravvivere si scontrano con l’esigenza, sentita da chi “respira teatro”, di mantenere una certa coerenza con i propri codici e valori, l’amore turbato, segreto, persino quello omosessuale, può rappresentare una bussola da impugnare per non perdersi definitivamente nella tempesta. È ciò che fanno Shitou e Douzi, il primo disposto ad abbandonare tutto per la donna di cui è innamorato e di cui diventa in qualche misura un burattino, il secondo costretto a soffocare sentimenti e pulsioni sessuali che, sublimate, diventano tuttavia la sua unica ragione per vivere, seppur di riflesso, seppur virtualmente. La piece “Addio mia concubina”, il reiterarsi di ruoli, storie d’amore vissute sul palco, battute, movimenti del corpo, acquista così le sembianze di un universo da esperire intensamente, l’unico che vale la pena di vivere, anche perché offre la certezza dell’immutabilità delle cose e dei rapporti umani, l’unico in cui vale la pena morire.