BABY GANG

 



 

Italia 1992/ Durata (min) 82′

Genere: Drammatico

Regia: Salvatore Piscicelli

Cast: Marco Testa (Luca), Daniele Marchitelli (Mastino), Claudio Boccalatte (Vito), Rino De Masco (Bucaneve), Andrea Mandolini (Pellecchia);

Fascia età personaggi:   infanzia


Sinossi

Luca ha nove anni e un fratello più grande tossicodipendente. Andato a casa sua per trovarlo, si accorge che è sull’orlo di una crisi. Le sue precarie condizioni lo costringono a cercargli della droga in modo da procurargli un minimo di sollievo. Gira così per le vie di Napoli, nella zona della circumvesuviana, alla ricerca dello spacciatore da cui si serviva il fratello, soprannominato Pellecchia. Per avere i soldi necessari, Luca si lega a Vito, un ragazzino di qualche anno più grande, con cui tenta invano di rubare motorini e altro. Visti gli insuccessi come rapinatore, il bambino chiede aiuto prima a Bucaneve, un travestito che frequenta una casa occupata dove viene spesso Pellecchia, e poi a Mastino, un adolescente spacciatore, che gli assicura una dose di droga in cambio della sua compagnia durante gli spacci. Quando Mastino scopre che Bucaneve è morto di overdose per una partita di coca tagliata male, decide di vendicarsi e, con l’aiuto determinante di Luca, uccide Vincenzo Basile, il grossista da cui proveniva la partita di droga alterata. Intanto è giunta la sera. 


Critica

Il bambino, pur essendo il protagonista del film, non partecipa mai da attore principale alle varie scorribande della giornata, ma semplicemente da osservatore, da sguardo privilegiato sul mondo degradato dei quartieri popolari di Napoli. La funzione “virgiliana” di Luca permette al regista di tratteggiare un affresco spontaneo e parallelamente pessimistico della sua città natale. Se da una parte gli occhi ingenui, curiosi e inconsapevoli del bambino ci accompagnano in un viaggio essenzialmente di scoperta e di sorpresa per un mondo senza scrupoli, ma anche capace di accogliere personaggi dalla forte carica umana come il travestito Bucaneve, dall’altra il progressivo avvicinamento di Luca al reato e alla connivenza con la piccola e grande delinquenza urbana ci fanno capire che per il protagonista non c’è alternativa a un destino di criminalità e, probabilmente, di morte. Nel capoluogo partenopeo sembra che ogni azione sia per forza di cose un reato cui non ci si può sottrarre: lo spaccio di droga, il furto e il borseggio, la prostituzione, l’omicidio. Luca assiste a questi “eventi” senza accorgersi che si tratta di un percorso di iniziazione, la sua. La strada diventa così l’unico luogo di formazione per il piccolo ragazzino. Non lo può essere la famiglia, tanto meno la scuola, istituto che non sembra poter trovare asilo in quel contesto urbano. I modelli di comportamento diventano così le persone incontrate nel viaggio, quasi tutte di pochi anni più vecchie di Luca. Non sorprende così che il motivo per cui era iniziato il viaggio di Luca passi poco per volta in secondo piano fino a essere del tutto disatteso nel finale. Il movente positivo ha condotto a un approdo opposto, da un gesto d’innocente altruismo, Luca è passato a un’azione di colpevole, seppur inconsapevole, egoismo: infatti, oltre a diventare complice di un omicidio, il ragazzino si è di fatto dimenticato della condizione di precarietà del fratello. Quando Mastino spara a Basile il buio della sera è ormai sceso completamente e con esso il nero della dissolvenza con cui si chiude la pellicola. Quello stesso buio che immaginiamo pervaderà sempre di più il piccolo Luca, anche dopo che le luci del proiettore in sala si saranno spente.