BASHU IL PICCOLO STRANIERO

 



 

Bashu, Iran 1989/ Durata (min) 120′

Genere: Drammatico

Regia: Bahram Beizai

Cast: Adnan Afravian (Bashu), Susan Taslimi (Naii), Parvis Pourhosseini (Marito di Naii)

Fascia età personaggi:   infanzia


Sinossi

Nord dell’Iran. Nel corso di un bombardamento irakeno, il piccolo Bashu si ripara dentro un camion. Non si accorge però che il conducente lo sta portando dall’altra parte del Paese. Quando il furgone si ferma per una sosta, il ragazzino scappa nella foresta vicina ed entra nel terreno coltivato di Naii. La donna è sola, essendo il marito partito per cercare lavoro, e vive miseramente insieme ai suoi due piccoli figli. Durante una giornata di lavoro Naii trova Bashu nascosto sotto un capanno e dopo un iniziale timore, per via della pelle molto scura del ragazzo, lo ospita in casa. Meno accogliente è la reazione degli abitanti del paese vicino, i quali sconsigliano di tenere un ragazzo nero, perché è sicuramente portatore di sventure. Ma la testardaggine della donna e l’intelligenza di Bashu faranno cambiare idea a tutti, compreso il marito di Naii che, una volta tornato a casa, avrebbe preferito non riconoscere come figlio il piccolo Bashu.


Critica

Piccola favola sull’integrazione razziale raccontata senza i canoni tradizionali del genere fiabesco. Così si potrebbe sintetizzare, in una sola frase, il film. Bashu il piccolo straniero ha, infatti, del mondo favolistico gli ingredienti esteriori: la solitudine del personaggi, le prove da superare per farsi accettare nel suo nuovo contesto sociale, il lieto fine e la presenza di una morale positiva. Tuttavia lo sviluppo del film rifiuta i canoni interni della fiaba, preferendo affrontare le tematiche della storia senza nessun filtro o linguaggio stereotipato. La guerra è vera guerra, le bombe scoppiano a pochi metri dal ragazzo, e il suo cercare riparo nel camion non è una scusa per l’inizio di un viaggio, ma desiderio di sopravvivere. Le sue paure, il suo rinchiudersi in sé stesso, il tapparsi le orecchie per non sentire continuamente il rimbombo delle bombe, si spiegano solo con il trauma della separazione dalla propria casa e dai genitori. Quando Bashu incontra la nuova famiglia è già regredito al livello animale. Corre in mezzo all’erba e ai campi come i cani; ha le stesse paure di un randagio di fronte all’uomo; non ha il dono della parola, il solo suono che emette è una specie di verso bestiale. L’unica persona che riesce ad avviare un rapporto di comunicazione e a trovare un linguaggio comune con lui è Naii, che ha una relazione privilegiata con il mondo naturale: imita benissimo i versi dei cani o degli uccelli, canta e parla con le piante per farle crescere di più, tratta i propri piccoli come una lupa farebbe con i cuccioli, lasciandoli spesso da soli e accorrendo solo nel momento del bisogno. La dimensione comunicativa e il rapporto quasi ancestrale che si instaura tra il ragazzo nero e la nuova madre permettono al film di essere credibile e soprattutto non retorico nella sua parte finale, dove si evidenzia la morale di accoglienza e accettazione del diverso. Qualsiasi legittimazione alla discriminazione e all’emarginazione di chi è difforme da noi, perde significato di fronte a un rapporto così coinvolgente tra i due personaggi. La loro è, di fatto, una relazione sanguigna, animalesca, e rinvia a quel nucleo di uguaglianza e identità che rende gli esseri umani uguali tra loro, al di là delle differenze di razza, religione, colore della pelle, lingua parlata. Tale nucleo è riconducibile all’esperienza della maternità e del legame indissolubile tra creatore e creatura. Pur non essendo la madre naturale, Naii tratta Bashu come un figlio e lo difende da chi lo vuole allontanare dalla sua vita con la stessa determinazione che avrebbe per qualsiasi altra sua creatura. Un legame che attraversa nel corso del film tutti gli stadi dell’amore materno: la non accettazione iniziale, il tentativo di insegnare a parlare al proprio piccolo, la richiesta di aiuto in famiglia, la cura della malattia, il ricorso inevitabile alle parole “figlio” e “mamma”. Quando Bashu, alla fine del film, le pronunzierà, sarà impossibile a quel punto separare le due creature, con buona pace della comunità che vorrebbe discriminare il piccolo Bashu solo per il colore della sua pelle.