BOY A

 



 

Gran Bretagna 2007/ Durata (min) 106′

Genere: Drammatico

Regia: John Crowley

Cast: Andrew Garfield (Jack Burridge), Peter Mullan (Terry), Siobhan Finneran (Kelly), Alfie Owen (Eric Wilson), Victoria Brazier (insegnante), Skye Bennett (Angela), Madeleine Rakic-Platt (studentessa), Josef Altin (primo bullo), Dudley Brewis (secondo bullo), Leigh Symonds (padre di Eric), Maria Gough (madre di Eric), Taylor Doherty (Philip Craig), Jeremy Swift (Dave), Shaun Evans (Chris);

Fascia età personaggi:   adolescenza


Sinossi

Eric e Philip sono due amici adolescenti con famiglie assenti o disagiate alle spalle. Spesso non vanno a scuola e trascorrono il tempo tra piccoli furti e altri passatempi poco ortodossi. Un giorno incontrano una loro coetanea che li insulta per il loro stile di vita. La reazione di Philip e di Eric è sorprendentemente violenta: la portano con la forza sotto un ponte e la uccidono. Il processo è inevitabile, così come l’attenzione pruriginosa e asfissiante dei media: i due vengono condannati al carcere minorile. Philip non regge alle pressioni del penitenziario e si uccide. Eric, invece, dopo alcuni anni, viene inserito in un progetto di reinserimento sociale, grazie all’azione di Terry, un educatore dei servizi della città. Il film inizia proprio nel momento in cui Eric, ormai ventenne, cerca di ricostruirsi una vita, con un’altra identità, quella di Jack Burridge. Viene accolto in una casa-famiglia, trova un lavoro da operaio in una ditta di trasporti, si innamora, ricambiato, della segretaria dell’azienda, instaura nuove amicizie con i colleghi. Naturalmente il tutto funziona a patto che la sua identità non venga svelata, generando nel ragazzo un dilaniante conflitto tra passato e presente, rettitudine e colpa, bisogno di verità e necessità alla menzogna. Un giorno, un evento positivo determina inaspettatamente la rottura dell’equilibrio faticosamente trovato: i media riconoscono nel nuovo salvatore il vecchio piccolo crudele omicida e ne chiedono l’arresto immediato. Per Eric, abbandonato improvvisamente da fidanzata, amici e datore di lavoro, non resta che seguire il destino di morte già vissuto dal suo amico di infanzia Philip.   


Critica

Boy A descrive il difficile, anzi l’impossibile percorso di redenzione e reinserimento di un minore detenuto. L’assunto principale del racconto si posa su un’amara constatazione: ovvero che il riscatto sociale di chi ha commesso crimini anche efferati è possibile solo a patto che non si venga stritolati dall’abbraccio mortale dei mass media, almeno di quella parte di essi composta dalla stampa scandalistica. Non c’è possibilità di redenzione per i mezzi di comunicazione, i quali, a differenza delle vittime, non contemplano il perdono e, in più, possono vantare una memoria inflessibile pronti a essere ridati in pasto ai lettori, reificando nel presente un passato immodificabile di dolore e morte. Una tale condotta ha una conseguenza paradossale, almeno agli occhi del regista: Eric/Jack da colpevole di un fatto di sangue diventa in poco tempo capro espiatorio, vittima sacrificale, agnello votivo ad una macchina che sopravvive cibandosi di scandali, prurigine e sconcerto.  Basterebbe osservare l’Eric quattordicenne e il Jack ventiquattrenne per capire che sono due persone diverse. Il primo è un adolescente solo e abbandonato a se stesso, con una madre sul letto di morte e un padre attaccato perennemente al collo della bottiglia. Subisce le angherie dei compagni, fin quando non incappa in Philip, un ragazzino egualmente emarginato, con in più una storia di soprusi e violenze in famiglia. Insieme trascorrono il tempo, senza consapevolezza alcuna delle conseguenze delle loro azioni: torturare un serpente o uccidere una coetanea che si fa burle di loro sono azioni che necessitano lo stesso impegno e non possono essere vissuti con alcun possibile rimorso. Il secondo, trascorsi dieci anni e un soggiorno rieducativo in un carcere minorile, è invece un ragazzo già maturo, sensibile, tranquillo, interessato ai consigli del suo educatore Terry. Se non conoscessimo il suo passato diremmo che Jack è un giovane del tutto normale, fin troppo impacciato e “carino”, con sogni, desideri e passatempi in tutto e per tutto simili a quelli dei suoi coetanei. Mentre le ragioni del disagio del piccolo Eric e del compagno Philip sono descritte con pochi tratti e molta stilizzazione, le emozioni, i sentimenti, le paure che cova il giovane adulto sono oggetto di un’attenzione scrupolosa da parte della narrazione. Tempi di ripresa, luoghi e ambienti, distanze della macchina da presa, obiettivi e focali sono messi al servizio di un plesso di emozioni che deve emergere dai silenzi, dai non detti, dalle solitudini del protagonista, secondo uno stile di messinscena che ricorda la lezione del Free Cinema. Il pregiudizio che sente incombente sulla propria testa rappresenta una forma di condanna e punizione forse peggiore del carcere stesso, perché sempre presente, incancellabile, ragione della rinuncia alla propria identità, alla possibilità di ri-raccontarsi e di dimenticare finalmente un passato che invece non può e non vuole scolorirsi. Dopo aver salvato una bambina Jack viene riconosciuto come l’Eric assassino di dieci anni prima e sbattuto nuovamente e violentemente in prima pagina. Attorno a lui si crea da subito il vuoto. Anche Terry, il suo educatore, l’unico appiglio adulto che lo sostiene e lo rinfranca, sparisce nel nulla. Senza contatti e sostegni adulti, Jack regredisce improvvisamente all’Eric adolescente. Davanti a lui non resta che il suicidio, unico modo per liberarsi di una pressione insostenibile, unica forma di espiazione quando viene meno la possibilità del riscatto e della riabilitazione sociale.