IL CANTO DI PALOMA

 



 

La teta asustada, Spagna-Peru 2009/ Durata (min) 95′

Genere: Drammatico

Regia: Claudia Llosa

Cast: Magaly Solier (Fausta), Susi Sánchez (Aída), Efraín Solís (Noé), Bárbara Lazón (Perpetua), Delci Heredia (Carmela), Karla Heredia (Severina), Fernando Caycho (Melvin), Miller Revilla Chengay (Melvincito), Spencer Salazar (Jonathan), Summy Lapa (Chicho), María del Pilar Guerrero (Máxima), Leandro Mostorino (Jhonny), Anita Chaquiri (Abuela), Edward Llungo (Marcos), Daniel Núñez (Amadeo); 

Fascia età personaggi:   giovani adulti


Sinossi

Perù, Lima. Anni Duemila. Fausta ha vent’anni. La madre è appena morta tra le sue braccia, ricordandole il suo passato di violenze e dolore e in modo particolare riportando alla memoria il giorno in cui, già incinta di lei, aveva subito un brutale stupro da parte di un gruppo di terroristi. Fausta, già orfana di padre, era cresciuta con quello che la credenza popolare chiamava “il latte della paura”, vale a dire il latte di una madre stuprata e scossa profondamente da quella violenza. D’altronde, nonostante sia cresciuta nel frattempo e oggi abbia un età da marito, Fausta è ancora terrorizzata da tutto quanto le succede attorno. Per evitare di essere a propria volta violata, si è fatta inserire nella vagina una patata; inoltre per uscire di casa pretende di essere accompagnata da uno dei tanti parenti che vivono con lei in una baraccopoli nella periferia della capitale. Ora però Fausta per seppellire la madre nella sua città natale ha bisogno di soldi per acquistare la bara e pagarsi il viaggio. Diventa così necessario superare le proprie paure, guadagnare un piccolo salario lavorando fuori casa come domestica di una ricca musicista e, soprattutto, conquistare un rapporto più sereno con il proprio corpo.


Critica

Sembra che la violenza, specie quella sessuale, produca effetti più profondi e duraturi qualora si riversi su ambienti e luoghi estremamente poveri, poiché attecchisce in un territorio irrorato da credenze popolari, ignoranza generalizzata e paure ataviche. È questo forse il caso delle popolazioni peruviane più emarginate, quelle che abitano nei paesi sperduti delle Ande o nei barrios della capitale, in baracche costruite con materiali grezzi, su colline dove non cresce nemmeno un filo di erba e tutto è polvere, pietre e sole. Qui vivono donne che hanno subito, nel corso degli anni Ottanta e Novanta, violenze sessuali e stupri da parte di frange in aperta o strisciante guerra civile, dando alla luce figli indesiderati e venendo spesso ripudiate dagli stessi mariti. Per giustificare soprusi e malessere le comunità si sono alimentate di convinzioni e credenze come quella che vuole i figli cresciuti da madri violentate privi di anima, scioltasi con il latte contaminato dalla paura e dal terrore provato dalle donne medesime. Una vita sempre uguale, la loro, scandita da ritualità tanto chiassose e colorate, quanto indicative dei tentativi di nascondere i dolori silenziosi dei personaggi, e di rompere la loro abitudine all’invisibilità e alla sofferenza. Fausta non è nata da un abuso, ma ha “assistito” comunque allo stupro perpetrato ai danni della madre incinta, da parte di non si sa chi, dall’interno del suo grembo. Da questo evento sembra giungere il disagio psichico che la accompagna fin dalla più tenera età e che la spinge a comportarsi proprio come se fosse stata maltrattata da un uomo. Tale turbamento, prodotto non tanto dal latte succhiato quanto dall’inquietudine della madre sola e vecchia, l’ha resa non autosufficiente e ossessionata a tal punto dall’altro sesso da infilarsi una patata nella vagina per precludere qualsiasi possibilità di contatto. Ne consegue che accanto al disequilibrio psichico, Fausta viva male il rapporto con il proprio corpo e più in generale con la sessualità. La patata, infatti, germoglia all’interno dell’organo sessuale della ragazza producendo fitte, malesseri, perdite di sangue e mancamenti, ma è anche il segno di una femminilità che sboccia, fiorisce e che certo non può essere impedita dalle paure o dalle superstizioni di chicchessia. È l’incontro con il giardiniere della casa in cui va a lavorare dopo la morte della madre a consentire alla protagonista di trasformare una sorta di fibroma interno al proprio corpo in una pianta fiorita per se e per gli altri. Nella seconda parte del film osserveremo finalmente il giardiniere salvare la ragazza dopo l’ennesimo svenimento, portarla al pronto soccorso per consentirle di essere finalmente operata. E sarà sempre il floricoltore a regalarle la pianta fiorita del tubero come segno di pronta guarigione, non solo fisica ma anche psicologica, come possibile rinascita.