CRIA CUERVOS

 



 

Spagna 1975/ Durata (min) 95′

Genere: Drammatico

Regia: Carlos Saura

Cast: Geraldine Chaplin (la madre/Ana adulta), Ana Torrent (Ana), Monica Randall (Paulina), Hector Alterio (Anselmo), Lorinda Chico (Rosa), German Cobos (Nicolas Garontes), Josefina Diaz (la nonna), Mirta Miller (Amelia Garontes), Conchita Perez (Irene), Maite Sanchez Almendros (Juana);

Fascia età personaggi:   infanzia


Sinossi

La trentenne Ana torna indietro con la memoria di vent’anni e ricorda la propria infanzia. Priva della madre morta per un male incurabile, e seconda di tre sorelle, la bambina odia intensamente il padre e decide di ucciderlo con il veleno. La polverina usata è poco più che un calmante, ma l’uomo muore davvero, seppur per una causa diversa, un infarto. Ana, convinta di essere l’artefice della fine del genitore, vive momenti di angoscia ma anche di forte consapevolezza di sé. Così, quando le tre bambine sono affidate alla zia Paolina che non si rivela in grado di educarle, Ana decide di uccidere anche lei. Questa volta però la pozione non ha nessun effetto. Intanto è arrivato settembre, riprendono le scuole e per Ana finisce una stagione della vita.  


Critica

La forza dell’immaginazione si misura sempre in relazione alla realtà, a quanto riesce a contaminarla, modificarla, alterarla, o a quanto si mescola con essa. Ana se ne rende conto già nel corso delle prime scene del film, quando tenta di uccidere il padre: un gesto concreto, l’avvelenamento, che non muta lo stato delle cose perché l’uomo muore per un’altra ragione, si fa azione sconvolgente grazie al filtro della suggestione fantastica e, tramite essa, ha ripercussioni dirette sul reale. La bambina, da quel momento in poi, crede di poter decidere della vita e della morte delle persone, ella non fa differenze tra abilità concrete e poteri soprannaturali. In altre parole, quelle che agli adulti potrebbero sembrare visioni, fantasticherie, illusioni, sono per Ana aspetti tangibili del quotidiano. A cominciare dal rapporto con la madre. Pur se nella cornice del sogno, tra le due donne s’instaura una relazione di complicità e intimità intensa e tangibile. La bambina percepisce come reale la comunione di intenti e la vicinanza con la madre.  Tale è l’affinità tra loro che quasi possono essere considerate la stessa persona. Per il resto, il mondo degli adulti si dimostra cinico, incapace, minorato. Grazie a questa storia in continuo bilico tra immaginazione e realtà, Saura riesce a tratteggiare l’infanzia tenendosi lontano da luoghi comuni troppo consolidati: in Cria cuervos Ana rappresenta un’età non più luogo della felicità o della creatività fine a se stessa, né dell’innocenza e della purezza di spirito o della spensieratezza, ma spazio pieno di fantasmi interiori, di paura dell’ignoto, di solitudine, roccaforte che si difende dall’aggressione degli adulti creando difese irreali che si mescolano e si confondono tra loro. Fantasmi del passato che si manifestano anche in una lettura più politica del film. L’infanzia di Ana può essere letta, infatti, come una rappresentazione della dittatura franchista. L’inquietudine, la lucida disperazione, l’incapacità di leggere la realtà che caratterizzano le esperienze della bambina sono trasferibili alla situazione sociale spagnola, dove fantasmi, morte, necessità di rifugiarsi nel sogno, odio per i nemici erano sentimenti provati giorno per giorno. Se quando Ana è piccola siamo negli anni Settanta, vuole dire che la Ana adulta vive negli anni Novanta e ricorda le proprie esperienze infantili dal futuro. La maturità della protagonista appare così un auspicio anche per la società iberica: forse fra vent’anni, ci dice fiducioso Saura anche la Spagna sarà un paese cresciuto e potrà vedere con lucidità e consapevolezza una fase buia e triste della propria storia.