INNOCENZA SELVAGGIA

 



Sauvage innocence, Francia-Paesi Bassi 2001/ Durata (min) 123′

Genere: Drammatico, Commedia

Regia: Philippe Garrel

Cast: Medhi Behaj Kacem (François Maunge), Julia Faure (Lucie), Michel Subor (Chas), Mathieu Genet (Alex), Valérie Kérouzoré (Flora), Jean Pommier (Hutten), Francine Bergé (Madre di Marie Thérèse);

Fascia età personaggigiovani adulti


Sinossi

Ancora sconvolto dalla morte per overdose della sua fidanzata Carole, François, un giovane regista cinematografico, cerca i finanziamenti per girare un film di denuncia contro la droga. Dopo una serie di vani tentativi, incontra Chas, un ricco commerciante di auto d’epoca, amico della stessa Carole. L’uomo, affascinante, accompagnato da una bella ragazza polacca, senza troppi interessi per il cinema e l’arte, si dichiara disposto a finanziare il film a patto che François trasporti dall’Italia a Parigi una valigia piena di droga. Il regista rifiuta inizialmente la proposta, poi la accetta, in modo da cominciare subito le riprese. Lucie, che nel film di François deve interpretare il ruolo della protagonista, non riesce a calarsi nella parte, fin quando, invogliata da Chas e dalla sua amante, non inizia anche lei a drogarsi, prima inalando eroina, poi iniettandosi direttamente la droga nelle vene. François non si accorge di nulla perché è troppo intento a portare avanti il suo film. Sarà costretto a ‘tornare alla realtà’ quando il direttore della fotografia gli mostrerà Lucie distesa a terra agonizzante in un angolo nascosto del set, colpita da un’overdose. 


Critica

C’è poco di innocente e quasi nulla di selvaggio in questa pellicola. Al contrario di quel che suggerisce il titolo, c’è invece colpevolezza, ambiguità, finzione. C’è odore di morte più che di selvatico dinamismo, c’è psicosi, dubbio, contorsione dei pensieri più che spontaneità, purezza e ingenuità. E poi c’è il cinema che diventa inevitabilmente allegoria di tutto: della vita, della morte, della società, dell’individuo. L’operazione metalinguistica, nel suo dipanarsi con ambiguità e ipocrisia, ha il carattere narcotico e accecante, ma anche avvilente e annichilente degli stupefacenti ed ha gli stessi effetti letali. Siamo di fronte ad un film nel film dove il regista non vede, l’attrice non recita, il produttore non finanzia, gli spettatori assistono ad un’opera che non esiste.  La giovinezza, associata al cinema, vive in François e Lucie come assenza di comunicazione, come egoismo, come male di vivere e come cecità. Alla fine, ciò che resta in primo piano sono le loro solitudini, le loro sconfitte, le loro colpe, le loro piccolezze: la doppiezza di François, regista e trafficante, di fronte alla doppiezza di Lucie, indecisa fino alla fine se seguire il suo ragazzo o ritornare da Augustin, l’ex fidanzato con cui conviveva anche durante la nuova relazione. Non un bello spettacolo, davvero.