LA CLASSE

 



 

Entre les murs, Francia 2008/ Durata (min) 128′

Genere: Drammatico

Regia: Laurent Cantet

Cast: François Bégaudeau (François), Nassim Amrabt (Nassim), Laura Baquela (Laura), Cherif Bounaïdja Rachedi (Cherif), Juliette Demaille (Juliette), Dalla Doucouré (Dalla)

Fascia età personaggi:   adolescenza


Sinossi

Parigi, 2007. Incomincia l’anno scolastico nell’Istituto Dolto, scuola media del 20° Arrondissement, alla periferia della città. Il professore di francese François insegna in una classe 4ª mista e multietnica, in cui le differenze culturali, e anche di lingua d’origine, tra gli allievi quattordici/quindicenni sono decisamente marcate. Il compito di François è quello di trasmettere la lingua e la cultura della Francia odierna a un gruppo eterogeneo di “nuovi” francesi e autoctoni, in modo che siano poi in grado di confrontarsi con il mondo che sta fuori dalle mura della loro classe, con un livello adeguato di capacità di comprensione e partecipazione. Insegnare è stancante e crescere è complicato. Il rapporto quotidiano con il gruppo di adolescenti irrequieti è fatto anche di scatti di nervi e piccole ingiustizie, cercare la via giusta per comunicare, mantenere il livello d’attenzione e di partecipazione può essere logorante. All’ennesima intemperanza di un alunno problematico, l’insegnante ricorre al preside e al consiglio d’istituto, segnando così il suo futuro con un’espulsione non voluta da François ma desiderata da gran parte del corpo docente. Per gli altri l’anno giunge al termine in maniera apparentemente normale, anche se non è così.


Critica

Le giornate scolastiche si ripetono sempre uguali. O almeno così sembra a chi non le vive dall’interno, a chi giudica gli alunni da atteggiamenti e posture immutabili, a chi valuta la progressione dei saperi dall’avanzamento del programma imposto dal ministero. Non è così e non può essere così per François, per cui ogni ora di lezione, ogni scambio e confronto con i suoi studenti è stimolo, lotta, crescita, possibilità dell’errore e occasione per trasmettere saperi. Egli infatti sa perfettamente che è nel leggero intarsio che provoca lo scalpello su una materia resistente e non nell’energica manipolazione di una massa malleabile che il suo ruolo di insegnante si esercita. A maggior ragione se si opera in una scuola media, “media” non solo per l’età dei ragazzi, ma anche per la loro provenienza sociale, geografica e culturale, “media” perché è il frutto mediano di contrasti e polarità che fuori dalle mura scolastiche diventerebbero facilmente contrapposizioni e scontri, “media” perché per compiere un buon lavoro bisogna saper miscelare competenze e capacità del tutto eterogenee. Che la funzione di François sia quella di mediare d’altronde è chiaro fin dalla lingua che insegna: il francese è lingua franca, lingua “coloniale”, strumento di imposizione di un’autorità, di un istituto, eppure indispensabile per comunicare, per apprendere, per ri-conciliare una società multirazziale composta da magrebini, cinesi, africani, autoctoni, slavi, romeni, ecc. La classe è composita, ha le sue gerarchie e le sue dinamiche interne; la ripetitività dei giorni e delle lezioni, con le sue problematiche didattiche sempre diverse, consente di tracciare uno spaccato interculturale convincente, multicolore, in cui poco per volta emerge una traccia narrativa, quella legata al personaggio di Souleyame e alla punizione che forse merita o forse no. L’intervento del consiglio non solo rompe l’equilibrio quasi paritario tra allievi e insegnante ma pone quest’ultimo agli occhi dei suoi discenti come l’incarnazione di un’istituzione che stabilisce comportamenti, convoca collegi giudicanti, ingenera gerarchie. Una posizione vissuta ovviamente in maniera insofferente da François, preso tra due fuochi, indeciso su quale sia la strada pedagogica più adatta per aiutare a crescere i suoi alunni, se permissiva e comprensiva o inflessibile e normante. Una posizione scomoda soprattutto per i ragazzi, i quali, alla fine, si trovano comunque soli con loro stessi, a fare i conti con le proprie identità, con quello che è a tutti gli effetti un sistema giudiziario che stabilisce verità più o meno accettabili, con i saperi acquisiti e la loro utilità nella vita di tutti i giorni. Al termine dell’anno a precisa domanda di François uno degli allievi risponde: “Mi sembra di non aver imparato niente”. Nella sconfessione di tale affermazione dovrebbe risiedere, in fondo, l’unica possibile sentenza che ha diritto d’asilo nel nostro sistema scolastico.