LA DISCESA DI ACLÀ A FLORISTELLA

 



Italia 1992/ Durata (min) 92′

Genere: Drammatico

Regia: Aurelio Grimaldi

Cast: Francesco Cusimano (Aclà Rizzuto), Tony Sperandeo (Caramazza), Luigi Maria Burruano (il padre di Aclà), Lucia Sardo (la madre di Aclà), Giovanni Alamia (Salvo), Benedetto Raneli (il prete), Giuseppe Cusimano (Maurizio Rizzuto), Rita Barbanera (Concetta Rizzuto), Salvatore Scianna (Calogero Rizzuto), Ignazio Donato (Pietro), Luciano Venturino (Pino Rizzuto);

Fascia età personaggipreadolescenza


Sinossi

Sicilia, anni Trenta. Il piccolo Aclà, di soli undici anni, viene venduto dalla famiglia d’origine a Rocco Caramazza, picconiere di una miniera di zolfo, che lo usa come caruso per tutta la settimana, costringendolo a lavorare duramente in turni massacranti. Nella zolfara, Aclà conosce condizioni di vita ancora più degradanti di quelle che aveva già provato nella sua povera famiglia. Le leggi che regolano questa specie di inferno dantesco sono fondate sulla forza, sulla violenza anche sessuale, sul sopruso e sulla prevaricazione. Dopo l’ennesimo pestaggio, l’undicenne scappa verso il mare, luogo che immagina libero dalle sopraffazioni che ha conosciuto nella cava. Tuttavia anche questa fuga è destinata allo scacco, poiché i carabinieri lo catturano e lo riportano dai genitori. Qui, subisce l’ennesima violenza da parte del padre. Al piccolo Aclà rimangono solo i sogni, come unici momenti di fittizia evasione. 


Critica

La zolfara di Floristella è un luogo dove vigono leggi e regole estranee a qualsiasi contesto civile. La discesa di Aclà a Floristella parte da questo presupposto: le condizioni dei lavoratori nel passato non hanno mai avuto nulla di umano, in modo particolare nelle miniere e nelle fabbriche, dove spesso e volentieri erano impiegati anche i bambini. La cava in cui Aclà lavora, vive e muore è allora lo spazio limite, il posto in cui si addensano tutte le negatività che si potevano trovare in questi opifici: sfruttamento, violenza, sopruso, vessazione, assenza di ogni diritto. Proprio perché rappresenta un caso estremo il film porta ai loro punti terminali tutti gli argomenti che di volta in volta affronta. La discesa di Aclà a Floristella, ad esempio, non racconta un caso di lavoro minorile, bensì di schiavitù “coloniale”. Il biondo ragazzino è venduto, proprio come nei mercimoni dei secoli passati, a un padrone che lo possiede in tutti i sensi e ne fa quello che vuole. Per certi versi, dunque Rocco Caramazza non è solo un padrone, ma diventa il demiurgo del piccolo Aclà, il suo sole nero. La storia non si accontenta neanche di descrivere una “semplice” situazione di abuso o di maltrattamento, ma va molto più in là. Nella zolfara, il bambino diventa ben presto oggetto di violenza sessuale e di attrazione omosessuale da parte dei minatori. La fuga dalla realtà si manifesta, anch’essa, in tratti estremi. La corsa verso il mare acquista una molteplicità di senso: è lo spazio aperto che si contrappone al chiuso della cava; è la ricerca della “naturalità” della natura rispetto alla “innaturalità” della miniera, simbolo di un ambiente ferito e infilzato dalla mano dell’uomo; è la speranza di avere una famiglia o di essere considerato come figlio di contro alla certezza di essere trattato come un oggetto. La corsa verso il mare ratifica lo sguardo pessimista del regista: ad Aclà non restano altro che i sogni. Quelli fatti a occhi aperti sono destinati a essere per sempre soffocati.