SONO NATO, MA…

 



Umarete wa mita keredo…, Giappone 1932 / Durata (min) 89

Genere: Drammatico

Regia: Yasujirō Ozu

Cast: : Hideo Sugawara (Ryōichi, il fratello maggiore), Tokkan Kōzō (Keiji, il fratello minore), Tatsuo Saitō (Yoshii, il padre), Mitsuko Yoshikawa (la madre), Takeshi Sakamoto (il principale), Seiji Nishimura (il maestro)

Fascia età personaggi infanzia 


Sinossi

La famiglia Yoshii si è appena trasferita nella nuova casa alla periferia di Tokyo. Mentre il padre si reca subito a porgere i suoi omaggi al datore di lavoro, che abita nelle vicinanze, i figli Ryōichi e Keiji se la devono vedere con gli altri bambini del quartiere, poco benevoli nei confronti dei nuovi arrivati. Grazie alla loro abilità i due riescono presto a guadagnare il rispetto di tutti i loro compagni, anche quello di Tarō, il figlio del boss. Una sera Tarō li invita a vedere dei filmini amatoriali a casa del padre. Nel buio tutti si divertono alle spalle di un impiegato che, nel film, è pronto a ogni umiliazione per divertire il  capo. L’uomo è il padre di Ryōichi e Keiji. I due con le lacrime agli occhi lasciano la sala e, dopo un violento litigio col genitore, inizieranno per protesta uno sciopero della fame… sino alla colazione dell’indomani. Mentre il padre li accompagna a scuola, ecco fermarsi al passaggio a livello la macchina del boss: i due bambini spingono il genitore ad andare a salutare il suo datore di lavoro.


Critica

Ambientato nella desolata periferia di Tokyo, Sono nato ma… è innanzi tutto una storia di formazione in cui due bambini apprendono le umilianti regole della vita organizzata e del peso che in essa hanno le diverse classi sociali. Ryōichi e Keiji sanno, sul piano del gioco con i loro compagni, conquistarsi un  ruolo da protagonisti e avere la meglio, grazie alla loro abilità, anche su Tarō, il figlio del boss. Ma è solo nello spazio immaginario del gioco che cose del genere possono accadere. Quando, infatti, il confronto passa sul piano della realtà è la posizione sociale a decidere chi sta in alto e chi in basso. Fatto a cui del resto si era già alluso attraverso il personaggio del fattorino del sakè: disposto a dare una lezione al bullo del quartiere dopo che Ryōichi e Keiji gli avevano fato vendere un cassa di bottiglie di birra alla madre, ma che si rifiuta di fare altrettanto con Tarō, perché la sua famiglia compra molti più liquori di quanto non faccia quella dei due protagonisti.

A fianco di questa presa di coscienza riguardo al proprio posto nella società e all’ineluttabilità della sottomissione alle sue regole, Sono nato ma… affronta anche il tema della famiglia e, in particolare, quello del padre. Sono infatti proprio l’unità familiare e l’autorità paterna a essere, nella seconda parte del film, seriamente minacciate. Causa di tale minaccia è la scissione che si crea fra l’immagine familiare e quella sociale del padre: uno scollamento che genera dolore e reazione rabbiosa nei due bambini e senso di vergogna e umiliazione nel genitore. La crisi della figura paterna era già comicamente sottolineata in precedenza: quando rimasto in mutande, giarrettiere per uomo e calzini bucati, il padre rimproverava senza molto successo i figli per le loro marachelle a scuola. Tuttavia la scoperta della funzione sociale del padre e la crisi che ne consegue porterà alla fine a una nuova e più salda unità familiare, non più fondata sull’equivoco bensì sul ruolo consolatorio, di riparo e protezione dalle difficoltà della vita sociale che essa può assumere. Su un piano strettamente visivo, questo nuovo equilibrio è espresso attraverso una soluzione ricorrente nel cinema di Ozu, quello dei movimenti all’unisono e delle pose parallele che qui si realizzano quando, il mattino dopo il terribile litigio, i due bambini pongono fine allo sciopero della fame. La macchina da presa inquadra allineati e in prospettiva padre e figli che si portano contemporaneamente il riso alla bocca: è un momento di grande intensità visiva che esprime con tatto e discrezione la ritrovata armonia familiare.

Il film ricorre in molte sue scene e sequenze a quella posizione bassa della macchina da presa che diventerà poi una costante del regista. Qui essa è soprattutto funzionale ad ancorare le immagini del film a un punto di vista, ottico e affettivo nello stesso tempo, che è sostanzialmente quello dei due giovani protagonisti (di questa stessa soluzione si ricorderà Steven Spielberg in ET-L’extraterrestre).