ZERO IN CONDOTTA

 



 

Zéro de conduite, Francia 1933 / Durata (min) 47

Genere: Grottesco 

Regia: Jean Vigo

Cast: Gerarde Bedarieux (Tabard), Louis Lefebvre (Caussat), Gilbert Prouchon (Colin), Costantin Kelber (Bruel), Jean Dasté (Huguet), Robert Le Fon (Parrain, detto “Pète-sec”), Delphin (il direttore del collegio), Pierre Blanchar (“Bec-de-gaz”), Léon Larive (il professore di scienze), Louis-de-Gonzague (Frick), Henry Stork (il parroco)

Fascia età personaggiadolescenza 


Sinossi

Terminate le vacanze, i ragazzi di un collegio francese fanno ritorno a scuola. Alla stazione li accoglie il sorvegliante. La sera tre di loro – Bruel, Caussat e Colin – sono puniti per schiamazzi. Sarà il primo zero in condotta dell’anno scolastico e, quel che è peggio, essi perdono il diritto al riposo domenicale. Decidono di vendicarsi e a loro si unisce anche Tabard che, rifiutatosi di scusarsi pubblicamente per le “colpe” commesse, ha invece mandato al diavolo il rettore della scuola davanti all’intera classe. Di tutti gli adulti solo il giovane e un po’ stralunato Huguet sembra stare dalla parte dei ragazzi. La ribellione prende corpo in tre diversi momenti: dapprima in refettorio, all’ora di pranzo, di fronte all’ennesimo piatto di fagioli, poi di  notte nel dormitorio, dove il sorvegliante viene legato al letto in mezzo a una pioggia di piume, infine sui tetti della scuola da cui i ragazzi gettano proiettili di ogni tipo sugli invitati a una cerimonia ufficiale.


Critica

Film debitore del surrealismo e che colpisce ancora oggi per la poesia di alcune sue immagini, Zero in condotta è il prototipo di una serie di film d’ambiente scolastico giocati sul tema della rivolta alla gerarchia e alle istituzioni. Registi come François Truffaut ne I quattrocento colpi, Lindasy Anderson  in Se… e Marco Bellocchio in Nel nome del padre vi si sono ispirati o, comunque, gli hanno reso esplicito omaggio. Centrale è così il tema della contestazione, che qui assume i modi di una rivolta anarchica e fine a se stessa, in cui si liberano giustamente le pulsioni represse per le ripetute ingiustizie subite mandando all’aria l’esistente, qualunque esso sia. In particolare la scena della rivolta in dormitorio trascende i limiti contestuali per farsi, attraverso le inquadrature rallentate dei ragazzini che marciano sotto una pioggia di piume, un’immagine fortemente simbolica di libertà e irrisione nei confronti dell’ordine borghese – che è poi il vero bersaglio del film dell’anarchico Vigo –.

La ribellione si esercita nei confronti di una scuola rappresentata in modo grottesco – vedi ad esempio il rettore nano e barbuto – attraverso una serie di diverse figure di adulti e insegnanti che appaiono essere poco più che dei manichini (l’esatto contrario di quella vivacità rappresentata invece dai ragazzi) e il cui motto principale potrebbe essere: «Punire per prevenire». A essi si contrappone uno stuolo di ragazzini che appaiono essere innanzitutto dei monelli scatenati – si veda il modo in cui riempiono di fumo di sigaro lo scompartimento del treno in cui hanno preso posto – e non certo delle vittime designate. Da questo punto di vista il film opera un’importante rovesciamento nella tradizionale rappresentazione dell’infanzia e della preadolescenza in chiave apertamente smitizzante.

Il mondo degli adulti è dunque condannato senza appello, con l’unica eccezione dell’insegnante Huguet. Relativamente giovane, svampito e un po’ poeta – vedi ad esempio la scena in cui conquista i ragazzi con l’imitazione di Charlot – Huguet sembra innanzitutto essere un adulto che non ha del tutto perso quei tesori dell’infanzia che ogni uomo dovrebbe sapere portare con sé sino alla fine. È nei fatti attraverso il suo personaggio che nel film si incarna il punto di vista dello stesso Jean Vigo.

Non va poi dimenticato come il film sia anche un paziente e a tratti crudele lavoro di memoria, in cui il regista – proprio come il Federico Fellini di Amarcord – ricostruisce quella che è stata la sua esperienza scolastica e nel far ciò conferisce all’opera tutti quei tratti di soggettività che spesso segnano simili operazioni – ancora una volta potremmo far riferimento all’appena citato film di Fellini –: modalità di rappresentazioni oniriche, effetti di ralenti, angolazioni accentuate, composizioni insolite del quadro, improvvisi primi piani, uso di filtri  ecc.

Importante anche il finale del film che non si chiude con la presumibile repressione della rivolta e l’inevitabile punizione, bensì nel bel mezzo della contestazione, coi ragazzi che ancora marciano sui tetti, letteralmente padroni del mondo.