LO SPECCHIO

 


Ayneh, Iran 1997/ Durata (min) 95′

Genere: Drammatico

Regia: Jafar Panahi

Cast: : Mina Mohammad Khani (Mina); Kazem Mojdehi; Naser Omuni; M. Shirzad; T. Samadpour, Jafar Panahi (il regista);

Fascia età personaggi:  preadolescenza


Sinossi

La piccola Mina attende all’uscita della scuola l’arrivo della madre. L’attesa è vana perché la donna non si vede. Decide così di tornare a casa, cercando, tra le strade caotiche e brulicanti di gente di Teheran, la via giusta. Chiede aiuto ad alcuni passanti senza ottenere l’effetto sperato. Salita su un bus affollato, dopo qualche fermata, la ragazzina – in un colpo di scena inatteso – si sfila il microfono, toglie il gesso finto al braccio e dichiara di non voler più recitare nel film. Il controcampo ci fa vedere che il bus è un vero e proprio set cinematografico. La bambina arrabbiata scappa a casa. Il regista decide comunque di pedinare la piccola, da lontano, per documentare il suo viaggio di ritorno, che si rivela essere molto simile a quello di Mina attrice. Arrivata a casa, la bambina rifiuta l’ultima richiesta del regista di filmarla sbattendogli la porta in faccia.


Critica

Come in uno specchio, la prima e la seconda parte del film si riflettono uguali e opposte. Se lo scopo della ragazzina rimane lo stesso in entrambe le situazioni, il punto di vista dello spettatore e la narrazione cinematografica mutano radicalmente: da una parte assistiamo alla storia di Mina all’interno della cornice classica della fiction, nella quale la presenza del regista è nascosta tra le righe della storia; dall’altra, grazie al colpo di scena che ci porta sul set del film, la stessa ricerca è narrata attraverso la tecnica della candid camera, nella quale la piccola bambina non sa di essere filmata. Cambia anche la prospettiva dello spettatore: lo svelamento del mezzo cinematografico dà al pubblico una maggiore sensazione di realismo, essendo venuto meno un filtro tra il reale e la sua rappresentazione. La doppia avventura di Mina ci costringe a meditare su interrogativi di ordine etico: cosa è vero e cosa non è vero di quello che vediamo sullo schermo? Cosa è giusto e cosa non è giusto riprendere? Fino a che punto il cinema sa cogliere le peculiarità della vita umana? L’infanzia diventa in tal modo un volano per la riflessione, un mezzo per capire che la realtà non è poi diversa dal cinema, ma anche che il cinema non può controllare la realtà e ha dei limiti che non può superare. La lettura critica de Lo specchio non si esaurisce certo nel gioco metalinguistico. Al centro del film c’è, infatti, una bambina e quello che le succede. Sia nella parte “funzionale” del racconto che in quella “documentaria” ci troviamo di fronte a un grido di dolore. Mina è, innanzi tutto, sola e sperduta in mezzo alla città. Gli adulti non sono in grado di aiutarla, ma prima ancora non sono capaci di ascoltarla. Per di più, almeno nella prima parte del film, la ragazzina è metaforicamente impedita nei suoi movimenti e nel suo desiderio di esprimersi. Da questo punto di vista, la ribellione del personaggio dai vincoli della finzione, indicano un desiderio di rivalsa della piccola che, in particolare nella società iraniana, rimanda a una voglia di libertà che coinvolge proprio i gruppi sociali che Mina rappresenta: i bambini e le donne. Tuttavia questo desiderio di emancipazione pare non avere successo: nella seconda parte della pellicola, Mina non recita più le battute suggerite dal cineasta del film, ma, di fatto, ripete le stesse esperienze e gli stessi atteggiamenti che già aveva quando faceva l’attrice. Al bus e alla motocicletta si sostituisce, nella parte “realistica” del racconto, il taxi, senza che alcun mezzo di locomozione porti la ragazzina a casa; la partita di calcio, che ascoltiamo alla radio, continua imperterrita, così come il caos del traffico e lo scacco delle relazioni intergenerazionali con gli adulti. Qualsiasi rivolta, sia essa alla crudeltà del cinema o della realtà, non produce, sembra dirci il film, nessun cambiamento. La porta chiusa in faccia da Mina alla troupe è così il rifiuto di qualsiasi intrusione, la consapevolezza che in questo mondo forse il modo migliore per cavarsela è fare affidamento solo su di sé.