LO SPIRITO DELL’ALVEARE

 


El espiritu de la colmena, Spagna 1973/ Durata (min) 97′

Genere: Drammatico

Regia: Victor Erice

Cast: Fernando Fernan Gomez (il padre Fernando), Teresa Gimpera (Teresa), Juan Margallo (il fuggitivo), Isabel Telleria (Elisabetta), Ana Torrent (Anna), José Villasante (Frankenstein);

Fascia età personaggi:  infanzia


Sinossi

Nel 1940, in un piccolo villaggio della Castiglia (Spagna), viene proiettato il film Frankenstein. La piccola Anna rimane molto colpita dalla storia narrata. Suggestionata dal film, inizia a interessarsi agli spiriti e vuole conoscere il mostro. Un giorno incontra in un casolare abbandonato un repubblicano fuggiasco e lo crede il mostro. Lo aiuta, gli dà da mangiare, gli porta i vestiti e l’orologio del padre. Una notte nel corso di una sparatoria il fuggiasco viene ucciso dalla guardia civile, che restituisce gli oggetti ritrovati al padre della bambina. Anna rivede l’orologio tra le mani del padre. Corre al rifugio e trova tracce di sangue; intuito ciò che è successo, scappa disperata in mezzo ai boschi, dove la sua immaginazione la riporta in contatto con il mostro. Infine ricondotta a casa, invoca per l’ultima volta lo spirito amico.


Critica

Anna vive in un piccolo paesino della Castiglia dove la guerra civile ha lasciato le sue tracce nei segni dei proiettili sui muri, nella madre che scrive al fratello una lettera che non sa se riceverà mai, nel paesaggio desolante, nel villaggio polveroso. Un’atmosfera triste che avvolge soprattutto gli adulti, persi nella ripetitività dei loro gesti, nelle passioni sopite, nella dura realtà di tutti i giorni. Solo il cinema, come uno squarcio tra le nuvole, sembra rappresentare l’unica occasione di svago concesso alla comunità. Ma per i bambini, e per Anna in particolare, il cinematografo è molto più che un momento di evasione dalla realtà, è la messa in immagini della loro fantasia e una porta aperta verso il fantastico. Le peripezie della piccola Anna non sono altro che un accorato elogio alla forza dell’immaginazione e la dimostrazione che i depositari della fantasia possono essere solamente i bambini. Non è un caso che il mostro che suggestiona così intensamente Anna sia proprio la creatura inventata dalla scrittrice Mary Shelley: esso è il risultato di un esperimento scientifico, quello del Dr. Frankenstein, che dona la vita là dove non c’è. Allo stesso modo la mente di Anna, e per trasferimento quella dell’infanzia, ha la possibilità di infondere il soffio vitale laddove non c’è più o non c’è mai stato. Tuttavia la dimensione fiabesca in cui si immerge la protagonista non è confermata da una realtà altrettanto suscettibile agli stimoli del fantastico. Anzi la desolazione e i colori aridi del paesaggio, ben evidenziati dalla fotografia del film, aumentano il distacco frustrante tra immaginazione della bambina e miseria della realtà circostante. La figura del fuggiasco appare così metaforica: egli è il diverso, l’escluso, l’emarginato. Il tema dell’emarginazione si lega così a quello della morte: un rivoluzionario è davvero un mostro e come tale è un nemico da abbattere senza pietà. Non esiste possibilità di integrazione, né spirito di accoglienza. Colui che non segue le regole o colui che è difforme dalla “normalità” non ha diritto di asilo. Solo la bambina, anch’ella esclusa dal convivio degli adulti, può permettersi di aiutarlo o, subito dopo morto, di riportarlo in vita. Ma è un’illusione destinata prima o poi, come il cinema, a lasciar spazio alla realtà.