The Secret of Moonacre, Ungheria-Gran Bretagna-Francia 2008/ Durata (min) 103′
Genere: Avventura, Fantastico
Regia: Gabor Csupo
Cast: : Dakota Blue Richards (Maria Merryweather), Juliet Stevenson (Miss Heliotrope), Tim Curry (Coeur De Noir), Tamás Tóth (Vicar), Augustus Prew (Robin De Noir), György Szathmári (Avvocato), Natascha McElhone (Loveday), Ioan Gruffudd (Sir Benjamin Merryweather / Sir Wrolf Merryweather), Szabolcs Csák (Henry), Zoltán Markovits (David), Marcell Tóth (Richard), Zoltán Barabás Kis (Dulac);
Fascia età personaggi: preadoloscenza
Sinossi
Dopo la morte del padre, la piccola Maria Merryweather é costretta ad abbandonare la vita agiata di Londra e a trasferirsi nei territori di Moonacre, nel bel mezzo della campagna britannica, insieme alla governante. Ospite di Sir Benjamin, uno zio mai frequentato, in un castello in via di disfacimento che apparteneva alla sua nobile famiglia, la ragazza sarà messa a conoscenza (anche grazie ad un libro che riceve in eredità) di una serie di segreti che le erano stati celati dal padre. Innanzitutto scopre di trovarsi in una valle maledetta, destinata a scomparire alla prossima fase lunare se le due famiglie ivi residenti – i Merryweather e i De Noir – non ripongono le armi, mettendo fine ad un guerra viscerale senza fine e restituiscono a Madre Natura una collana di perle sottratta nella notte dei tempi e ragione di tale conflittualità. In seconda battuta si accorge, poco per volta, di essere lei, l’ultima arrivata, a dover compiere questo “miracolo”, ritrovando le perle nascoste chissà dove e riavvicinando la sua famiglia a quella che vive nella foresta (i De Noir). Compito non facile, ma certamente alla portata di un’adolescente sveglia, coraggiosa, sicura di sé, aiutata peraltro da Loveday, ex fiamma di Sir Benjamin che ora vive nella foresta, da Robin De Noir, figlio minore della casata di cui presto s’innamora ricambiata, e da una serie di figure mitologiche (un unicorno e un leone nero) che saranno sempre al suo fianco nei momenti del bisogno. .
Critica
Si mescolano un bel po’ di archetipi letterari in questo film. Quelli shakespeariani, con due famiglie in lotta tra loro e con i rispettivi rampolli pronti ad una scontata ed inevitabile liaison come un Romeo e una Giulietta qualsiasi; quelli della letteratura fantastica, con la presenza di principesse, unicorni, maledizioni, foreste spettrali; quelli dei romanzi di formazione dickensiani, con una giovane aristocratica abituata allo sfarzo e alle buone maniere costretta ad adattarsi alla vita agreste e alle inevitabili avventure picaresche; quelli della letteratura vittoriana con bon ton e buone maniere da rispettare, immensi castelli da abitare, eredità e volontà paterne da onorare. E via discorrendo. Come se non bastasse, il cocktail letterario viene ulteriormente annacquato da frangenti narrativi stereotipati e situazioni drammatiche prevedibili ad uso e consumo di un pubblico considerato infantile e velocemente accompagnato verso la risoluzione finale. Tale cornice non favorisce l’approfondimento di tematiche e fili conduttori particolari. L’unico vero aspetto interessante del film è la caratterizzazione della adolescente protagonista. La sua condizione di solitudine di Maria si colloca, in maniera abbastanza convincente, all’interno di un quadro famigliare in via di disfacimento non tanto per una maledizione magica, quanto piuttosto per l’orgoglio che riempie il petto di tutti i suoi parenti. Lei è la sola a saperlo gestire l’orgoglio, anche in virtù della sua marginalità rispetto alle dinamiche dei due clan e alla sua minore età. Un simile talento le consente inoltre di vedere oltre il dato reale, pienamente inserita in un universo fantastico, che può diventare improvvisamente spazio extradiegetico ed extrafinzionale come quando guarda direttamente verso lo spettatore interpellandolo o come quando dimostra di percepirne la presenza. Detto altrimenti: Maria sembra situarsi in una sorta di mesocosmo, in una realtà di mezzo, molto più vicina agli stili di vita, alle mode e alle abitudini di comportamento e di azione di un’adolescente di oggi che non a quelli dell’Inghilterra Ottocentesca. Per questo motivo, ci sembra appartenere a pieno titolo alle ultime generazioni di giovani, quelle che vengono chiamate “native digitali”, perché sanno muoversi attraverso più medium, sanno adoperare più linguaggi audiovisivi, sanno giostrarsi in modalità multitasking, sempre a proprio agio in qualsiasi mondo attraversato, sia esso virtuale o reale, eppure mai pienamente immerse in esso. Maria è, in ultima analisi, un nuovo modello di principessa che non fonda il proprio charme solo sulla bellezza e sui bei vestiti, ma su una leadership che si costruisce passo passo, intrecciando reti sociali e famigliari allargate, navigando tra più mondi, gestendo diverse relazioni interpersonali senza mai abbandonare un atteggiamento viziato, egocentrico, dominante. Senza mai perdere di vista se stessa. Come faccia non si sa, ma tutti le corrono dietro.