Slumdog Millionaire, UK 2008 / Durata (min) 113′
Genere: Melodramma
Regia: Danny Boyle e Loveleen Tandan
Cast: : Dev Patel (Jamal Malik), Freida Pinto (Latika), Madhur Mittal (Salim), Anil Kapoor (Prem Kumar), Irfan Khan (Ispettore), Mahesh Manjrekar (Javed), Ayush mahesh Khedekar (Jamal piccolo), Azharuddin Mohammed Ismail (Salim bambino), Rubiana Ali (Latika bambina), Tanay Hemant Chheda (Jamal adolescente), Tanvi Ganesh Lonkar (Latika adolescente), Ashutosh Lobo Gajiwala (Salim adolescente), Sanchita Choudhary (Madre di Jamal), Saurabh Shukla (Sergente Srinivas), Ankur Vikal (Maman);
Fascia età personaggi: giovani adulti
Sinossi
Mumbai. Jamal, un ragazzo delle slum, sta partecipando al quiz televisivo Chi vuol essere milionario? ed è giunto indenne all’ultima domanda, quella che vale 20 milioni di rupie. Il conduttore dello show, un sardonico e invidioso presentatore anch’egli di umili origini, pensa che Jamal sia un truffatore e che sappia in anticipo le risposte giuste. Per questo, prima dell’ultima domanda, in una pausa della trasmissione, fa in modo che venga arrestato e interrogato dalla polizia. Sotto torchio, il ragazzo narra le vicende della sua vita tutte più o meno legate alle domande incontrate nel corso del quiz: quando era un bambino di strada, orfano di madre (uccisa in un attacco degli integralisti indu), o chiedeva l’elemosina per conto di una rete di cinici sfruttatori, quando rubava i soldi ai turisti o, più grande, ha iniziato a lavorare prima in un call center e poi come cuoco di un gangster della capitale. Racconta ai poliziotti anche la sua sfortunata storia d’amore con Latika, una bimba conosciuta sulla strada e poi diventata compagna del boss da cui è a servizio, convincendo gli agenti della sua onestà e rettitudine. Jamal può così rispondere all’ultima domanda, ma il destino non sarà solo nelle sue mani.
Critica
In gran parte costruito per piacere a un pubblico occidentale affascinato dagli esotismi e dagli stereotipi colorati sull’India, The Millionaire solo in parte e in maniera superficiale fa suo il gusto della contaminazione, dell’inclusione delle diversità, della esplosività di colori, danze e sentimenti, proprie della cultura indiana e che l’industria cinematografica autoctona, conosciuta da tutti come Bollywood, si fa carico di narrare per immagini da molti anni a questa parte. Nel nostro caso l’identità nazionale e culturale indiana è più che altro una forma di involucro appariscente dentro il quale si cela un prodotto globalizzato, privo di specificità localistiche. Per supportare questa sensazione, basterebbe ricordare che la cornice del racconto, il programma Chi vuol essere miliardario?, è un format televisivo con musiche, scenografie, luci e architetture sempre uguali ad ogni latitudine e grado, simbolo di una società dei media transnazionale che produce immagini già “masticate”, ovvero che appartengono in qualche misura al pre-figurato di un pubblico mondiale. D’altronde, l’immagine dell’India che emerge dalle domande del quiz è canonizzata, il risultato di un mescolamento di cultura alta e cultura bassa, in linea con un immaginario “pop” che ha contraddistinto le narrazioni postcoloniali realizzate nello scorso secolo da autori occidentali. Come già in Dickens e in Kipling, e centinaia di altre volte in fiction, film o documentari, il plot si fonda sulla presenza di un orfano carino e simpatico che subisce abusi e maltrattamenti da adulti senza scrupoli, che si arrangia come può, accentando qualsiasi forma di lavoro minorile, non tanto a causa di un’inclinazione verso il male, quanto piuttosto per sentimenti amorosi che lo costringono a fronteggiare tutti i personaggi che in qualche misura incarnano per lui ideali negativi. Gli schemi e gli archetipi della cultura occidentale si ritrovano ancor di più nei valori veicolati, sottotraccia, dal racconto: quelli dell’amore romantico, coronato in un finale escapista capace di cancellare tutte le contraddizioni vissute precedentemente; quelli del sacrificio cristiano; quelli del sogno americano che consente anche ai più poveri di accedere alla felicità e alla ricchezza magari vincendo nel corso di un quiz o di una lotteria centinaia di migliaia di rupie non casualmente o fortunosamente, ma in virtù di un destino che in qualche misura si rivela meritocratico nel suo essere caritatevole, giusto e paternalista nel suo evitare qualsiasi reale forma di auto-determinazione.