TULPAN

 


Germania, Kazakhstan, Polonia, Russia, Svizzera 2008/ Durata (min) 100′

Genere: Drammatico

Regia: Sergei Dvortsevoy

Cast: Askhat Kuchinchirekov (Asa), Samal Yeslyamova (Samal), Ondasyn Besikbasov (Ondas), Tulepbergen Baisakalov (Boni), Bereke Turganbayev (Beke), Nurzhigit Zhapabayev (Nuka), Mahabbat Turganbayeva (Maha).

Fascia età personaggi: giovani adulti


Sinossi

Finito il servizio militare a bordo di un sottomarino russo, Asa viene accolto da Samal e Ondas (rispettivamente sorella e cognato del giovane), pastori nomadi che vivono nella steppa del Kazakistan insieme ai loro tre figli. Il sogno di Asa è diventare proprietario di una mandria di ovini, ma per esserlo deve trovarsi moglie. La sola disponibile, nel raggio di decine di chilometri, è Tulpan, figlia di due anziani pastori, la quale però battezza le orecchie dell’ex marinaio troppo grandi per i suoi gusti e nega il suo assenso alle nozze. Intanto uno strano virus sembra aver colpito le pecore dell’allevamento di Ondas: quelle gravide non riescono a mettere più alla luce nemmeno un figlio vivo. Riuscirà Asa ad imparare un mestiere e mettere su famiglia?


Critica

Nei film ambientati in luoghi sperduti della terra, in mezzo a deserti, tundre, praterie, ghiacciai, profondità marine, l’ambiente naturale, di norma, assume un ruolo determinante. Si è soliti dire che rappresenta un altro personaggio del film, un protagonista, forse senza battute e dialoghi, ma con una capacità di attrazione spettacolare e agitazione evenemenziale innegabile. È ciò che avviene anche nel nostro caso, essendo davanti ad una storia ambientata nella steppa russa a centinaia di chilometri da qualsiasi città, popolata da una serie di personaggi che sembra adottare stili di vita immodificabili dalla Storia. È la natura rarefatta e polverosa che circonda questi eroi, il vento che spira senza tregua, i virus che colpiscono gli armenti, il sole che secca le pelli, a dettare tempi, azioni e reazioni degli esseri umani. Di più, è proprio l’invisibilità del paesaggio, la sua rarefazione, la sua estraneità al mondo civilizzato, a segnare l’identità degli stessi eroi sullo schermo, come conferma il titolo del film, “dedicato” ad un personaggio, Tulpan, la ragazza amata da Asa, che non vedremo mai in volto. Asa è, da questo punto di vista, colui che meglio evidenzia tale situazione di estraneità e impenetrabilità in virtù della sua alterità rispetto al contesto in cui trova. Attorno a lui ci sono presenze legate in qualche modo alla voglia di progresso, chi perché sogna di abbandonare la vita contadina, attratto dalle promesse di felicità offerte dalla città, chi perché ne rimane affascinato per il riverbero che produce. Asa è l’unico che proviene dal mondo civilizzato e che ha deciso di abbandonarlo perché de-personalizzante per ritornare ad uno stato di natura, per vivere in un mondo contadino come un primate che attraversa realtà e fantasia, storia e mito. Asa, a ben vedere, lotta anche contro alcune regole tradizionali che invece di garantire la sopravvivenza della specie, rischia di accelerarne il processo di estinzione. Innanzi a giovani che sognano un proprio percorso di autodeterminazione, anche l’istituzione del matrimonio combinato non assolve più i suoi compiti di equilibrio e gestione sociale come un tempo. Così, l’innamoramento di Asa per Tulpan assume ben altre accezioni rispetto a quelle relative al semplice dato emotivo. Rappresenta, come si diceva, la ricerca dell’invisibile, del primigenio, del ritorno a uno stato di natura; rappresenta poi la possibilità di entrare in una comunità facendo in modo che uno dei suoi membri più refrattari all’integrazione resti al suo interno e non la abbandoni; rappresenta infine l’indispensabile costituzione di una famiglia come unità base di ogni sopravvivenza individuale. Da questo punto di vista, il finale agrodolce, che ci mostra Asa finalmente competente nella sua professione di pastore, ma senza una consorte al fianco, dimostra una volta per tutte quanto il conflitto tra natura/cultura, città/provincia, amore individuale/amore sociale, fatichi a risolversi in un verso o nell’altro anche in un luogo sperduto come la steppa del Kazakistan.