ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

[SPECIALE] SHOSHANA | Tra personaggi di superficie e Grande Storia

Regia: Michael Winterbottom

Anno: 2023

Produzione: Regno Unito, Italia

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

Il film del regista inglese Michael Winterbottom porta sullo schermo una vicenda reale avvenuta nella Palestina del Mandato Britannico alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. A far da sfondo alla vicenda sentimentale fra Shoshana Borochov (Irina Staršenbaum) – ebrea sionista e socialista – e il poliziotto inglese Thomas Wilkin (Douglas Booth) è, infatti, la parte finale degli anni ’30 del secolo scorso, quando in terra di Palestina viveva ormai quasi mezzo milione di Ebrei giunti dall’Europa durante le ondate migratorie della cosiddetta Alyiah – cioè il rientro della diaspora ebraica nella terra di Israele – iniziata nell’ultima parte del XIX secolo. La (im)migrazione teorizzata soprattutto dal movimento sionista di ogni colore politico, fu resa possibile sia dalle organizzazioni ebraiche che in molte nazioni europee finanziavano il rientro in Palestina in risposta a un sempre più pressante e pericoloso antisemitismo, sia dall’acquisto di terre da parte dei nuovi arrivati dalle popolazioni arabe locali, inizialmente disattente – se non ignare – del progetto politico che c’era dietro gli acquisti. I dissapori fra le due popolazioni non tardarono – quindi – a manifestarsi, anche a causa del difficile compito di governo del Mandato Britannico, instaurato alla fine del primo conflitto mondiale dopo la caduta dell’Impero Ottomano, che fino ad allora aveva controllato il Vicino Oriente. Lo scontro fra Arabi ed Ebrei portò al sorgere di un terrorismo ebraico che prese di mira sia gli Arabi stessi, sia – nelle sue frange più estreme – gli Inglesi. Poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nacque – infine – lo stato di Israele, dichiarato unilateralmente il 14 maggio del 1948 e attaccato già il giorno successivo da Egitto, Siria, Giordania, Libano e Iraq. L’attacco diede avvio a uno dei più lunghi e sanguinosi conflitti della storia moderna, che continua ancora oggi a quasi ottant’anni di distanza.

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Nel contesto delineato nell’introduzione si svolgono le vicende del film, che ha in Shoshana – un’ebrea russa immigrata in Palestina con la famiglia – la principale protagonista. È lei a sognare – sull’onda del pensiero sionista di estrazione socialista – l’edificazione di un Paese libero e democratico in cui potessero convivere gli Arabi, che lì vivono da secoli, e gli Ebrei, una volta rientrati in quella che è la loro terra d’origine. La storia d’amore di Shoshana e Thomas si intreccia, quindi, con le vicende storiche e i dissapori fra le fazioni del corpus sionista: quella dei moderati dell’Haganah – che lottava soprattutto contro gli Arabi – e quella dell’Irgun, i cui attentati dinamitardi colpivano non solo la popolazione locale ma anche gli inglesi, ritenuti responsabili della mancata nascita di uno stato ebraico. Le conseguenze della cattura di Avraham Stern (Aury Alby) – che dopo la tregua fra l’Irgun e il Mandato Britannico dovuta al conflitto con il Nazismo aveva fondato il gruppo estremista Lehi, che continuò la politica degli attentati – sanciscono la fine di ogni speranza di normalità per Shoshana, impegnata con l’Haganah nella costruzione del futuro stato di Israele. A farne le spese, infatti, sarà non solo l’idea di edificare un nuovo stato limitando gli spargimenti di sangue ma anche l’amore, contrastato dall’ambiente circostante, con Thomas.

Il film di Winterbottom mescola il melò sentimentale e il genere thriller-politico sullo sfondo di una storia vera che si intreccia con la Grande Storia del Novecento. La trama fornisce alcuni spunti interessanti per dare un’idea di quello che fu l’inizio del dissidio arabo-ebraico del XX secolo, diventato poi a tutti gli effetti un conflitto fra Stati a partire dal 1948. È utile sottolinearlo: il film non si propone di affrontare il tema in modo completo, né di presentare le ragioni del conflitto associate alle due parti in causa, l’Alyiah ebraica e i residenti arabo-palestinesi. Ciononostante, fornisce un quadro sufficientemente articolato del modo di agire delle frange più dure del movimento sionista, l’Irgun prima e il Lehi poi. La politica fa da contraltare, quindi, alla storia d’amore “impossibile“ fra la giovane ebrea piena di slancio e di ideali e il poliziotto inglese, che insieme al comandante Morton (Harry Melling) deve cercare di mantenere l’ordine muovendosi in equilibrio fra normali azioni di polizia, indagini spionistiche e iniziative ai limiti della legge del proprio superiore.

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Le cose non andranno bene, poiché il motore della storia alimentato dal genocidio nazista, dal senso di colpa delle nazioni europee per non aver difeso a sufficienza coloro che erano propri cittadini e dal confronto terroristico e militare a sfondo etnico tra Ebrei e Arabi, ha reso (e rende tutt’oggi) impossibile un accordo pacifico e ragionevole fra le parti. A farne le spese, le vite e le piccole storie di uomini e donne che pur spinti dai propri valori ambivano (anche) a una vita normale. L’immagine finale di Shoshana al fronte armata di una mitragliatrice, riassume meglio di molte parole quanto sia difficile chiamarsi fuori dagli eventi e coltivare le proprie personali speranze.

Nelle intenzioni, un film coraggioso per il tema affrontato e, soprattutto, per il momento storico in cui arriva in sala, anche se fatica a dispiegare pienamente le sue potenzialità. Il risultato è, da un lato, un po’ freddo e didascalico per ciò che concerne i personaggi principali, tra i quali spicca – in fondo – il solo Harry Melling, spesso chiamato a dar vita a personaggi fastidiosi e allucinati. Dall’altro lato, la tesi finale è forse troppo orientata al fare degli inglesi la principale, se non unica, causa del dissidio ebraico-palestinese, trascurando qualsiasi altra ragione di tipo politico, religioso ed etnico che può trovarsi alla base del secolare conflitto. Forse un destino non così dissimile da quello di Exodus di Otto Preminger (1960), che pur caratterizzandosi per un ben più ampio respiro storico e per la presenza di un protagonista del livello di Paul Newman (nonché del ritorno ufficiale alla sceneggiatura di Dalton Trumbo dopo i problemi con il maccartismo) non incontrò un particolare favore della critica.

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