ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCIALE

VERMIGLIO | Uno sguardo moderno a un mondo arcaico

Regia: Maura Delpero

Anno: 2024

Produzione: Italia, Francia, Belgio

una recensione a cura di Chiara Lepschy e Giuseppe Minerva

Vermiglio è il secondo lungometraggio della regista Maura Delpero, scritto e girato per mantenere il ricordo di una vita, quella di un paesino di montagna, e un’epoca, la fase finale del secondo conflitto mondiale, ormai sempre più lontani nel tempo e a rischio di oblio

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Nel film convivono differenti aspetti. In primo luogo, come accennato, vi è la narrazione di un mondo passato descritto con rigore antropologico. Gli abitanti di Vermiglio, un piccolo paese in provincia di Trento, sono rappresentati nella durezza della vita e delle incombenze quotidiane – come la mungitura delle vacche, che inizia all’alba – ma anche attraverso i momenti di festa e condivisione. Davanti agli occhi dello spettatore scorrono un mondo e un’epoca ormai alle nostre spalle, in cui la lingua madre è il dialetto e l’italiano si impara a scuola con grande fatica. La globalizzazione è ancora lontana e abitudini e costumi sono specifici delle varie regioni: i bambini di Vermiglio, ad esempio, ricevono i doni per Santa Lucia, regali che data la povertà possono anche consistere in un solo prezioso mandarino. Proprio per il fatto di essere un’epoca in cui i contatti tra le regioni italiane sono rari, la Sicilia – vista su una carta geografica – assume quasi l’aspetto di una terra esotica in cui crescono le arance e forse vi sono i leoni, che la mappa rappresenta correttamente in Africa ma che i ragazzi faticano a collocare poiché non distinguono i confini fra la Sicilia e il continente africano, tanto sono lontani – per loro – ambedue i luoghi.

Il modo in cui è descritto questo mondo ha ricordato a molti Ermanno Olmi ma, in parte, anche Pier Paolo Pasolini. La regista, però, affianca a quello generale un discorso più personale e, soprattutto, moderno. La narrazione è corale e il film racconta la vita di chi è in paese, mentre la guerra (è l’inverno del ‘44) resta sullo sfondo, pur essendo il motivo per cui Vermiglio è popolato quasi esclusivamente da donne, anziani e bambini. Il taglio moderno emerge proprio dalla descrizione accurata delle figure femminili e, in particolare, delle tre sorelle della famiglia Graziadei. Con una sensibilità attuale, Maura Delpero approfondisce non tanto il tema del lavoro quotidiano – che le donne affrontavano in prima persona e che, comunque, fa da sfondo alle vicende narrate – quanto le difficoltà legate a un mondo patriarcale dove, anche senza colpa come nel caso di Lucia, si rischia di venire emarginate. E insieme alle difficoltà sono evidenziate le mancate opportunità, in un contesto sociale dove la famiglia e la maternità sono gli unici spazi di realizzazione, fino allo sfinimento fisico raggiunto generando dieci figli (alcuni dei quali morti piccolissimi) e reprimendo le pulsioni naturali, in ossequio ai dettami della religione ma anche di un rigido senso del dovere.

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Tra i personaggi maschili è ben tratteggiato, grazie alla scrittura della parte e alle capacità attoriali di Tommaso Ragno, il capofamiglia Cesare. Maestro del paese, è l’uomo più colto di Vermiglio, capace di apprezzare la musica classica a cui sacrifica anche parte del bilancio familiare. Ma nonostante una maggiore sensibilità e preparazione, non si sottrae alla cultura dell’epoca: della moglie e dei figli – di cui, per quanto più autorevole che autoritario, è il padre padrone – decide in toto il destino. E quindi chi può emanciparsi attraverso lo studio e chi è destinato, se uomo, a lavorare nei campi e, se donna, a una vita di subordinazione. La scelta di far studiare la bambina più dotata della famiglia a scapito dei fratelli è, comunque, una scelta in qualche misura illuminata da parte di un uomo pieno di contraddizioni e in lotta, anch’egli, con le proprie pulsioni.

Questo tratto così moderno e personale rischia, però, di rappresentare anche il principale limite del film, poiché può essere percepito come un po’ forzato. Poco realistico, infatti, è il lungo viaggio di Lucia in Sicilia, in un’epoca in cui non era così comune per una donna spostarsi da sola, soprattutto in un momento storico in cui percorrere l’Italia in tutta la sua lunghezza non era molto sicuro. Un po’ troppo ideologico, in omaggio a una tematica oggi molto sentita, l’inserimento – per quanto in filigrana – di un possibile interesse lesbico in Ada.

Molto curate, infine, le inquadrature e una fotografia dai toni grigio-azzurri in cui nulla sembra essere lasciato al caso, per una scelta di stilizzazione – anche degli ambienti e dei dettagli più minuti della scenografia – portata all’estremo. Bella la colonna sonora di Matteo Franceschini e le scelte musicali a integrazione della stessa.

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